Kim Jong-un: No ai jeans attillati, pena la morte

Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si instaura una dittatura con l’intenzione di tutelare una rivoluzione; invece si fa una rivoluzione con lo scopo di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.

Chi governa uno stato simile esercita un potere assoluto, può riplasmare la realtà a suo piacimento. Il partito vi diceva che non dovevate credere né ai vostri occhi né alle vostre orecchie.
Forse, a pensarci bene, un pazzo non era altro che una minoranza formata da un solo uomo.

La Corea di Kim Jong-un ha varato nuove restrizioni con un obiettivo preciso: contrastare l’influenza dello stile di vita occidentale. Le nuove norme prevedono la pena di morte per tutti coloro che decidono di indossare jeans attillati; quindici anni di reclusione in campi di rieducazione per chi si taglia i capelli in maniera “anticonvenzionale”.

Eurocentrismo

In passato il mondo della moda veniva percepito dai contemporanei come una disciplina frivola, “uno specchio automatico della società”. Oggi, grazie all’antropologia della moda, molte cose sono cambiate: non si guarda più il vestito come a un oggetto, bensì a un archetipo in grado di cogliere le peculiarità più profonde di una società.

Dall’Ottocento l’haute couture parigina ha portato, come una cucitura indistruttibile, l’immagine di un Occidente più civilizzato, all’avanguardia e moderno, contrapposto a un Oriente povero e selvaggio: una versione distorta che rimane ancora intessuta negli angoli della nostra quotidianità.  Le influenze orientali sono sempre state molto importanti, soprattutto per quanto riguarda le importazioni di materie prime: la seta dalla Cina, il cotone dall’India e così via.

Lo scambio culturale e ideologico non è mai in senso unidirezionale: i coloni inglesi, per esempio, quando si recavano presso i paesi colonizzati avevano obiettivi specifici, fra cui quello di evangelizzare e vestire i “selvaggi”. All’interno di questo contesto sono nate delle regole: i colonizzatori potevano vestirsi in abiti tradizionali indiani – senza esagerare – ma agli indiani non era conferita questa possibilità, poiché la distanza tra “noi” e “loro”, tra est e ovest, si sarebbe scardinata.

Oggi si sta attuando un processo di decentramento, anche se in realtà gli stereotipi legati all’altro mondo sono ancora – quasi in maniera inconscia – sepolti nella profondità della nostra rete sociale; la percezione che abbiamo della realtà è data per la maggior parte dal nostro passato da ex-colonizzatori.

Subculture degli anni Novanta

Gli anni ’90 del Novecento si sono distinti per la nascita delle cosiddette subculture. Importanti, in virtù di questa contrapposizione est-ovest, sono stati gli hippy, che hanno alimentato lo stereotipo “noi”-“loro” in uno scontro senza eguali.

Lo stile di vita di questo gruppo di giovani ragazzi si basava sull’anti-consumismo e su una forte vicinanza con la natura: tutte caratteristiche che, a loro dire, si ritrovano nella parte est del mondo, più nello specifico in Cina.

Con la rivoluzione giapponese del 1980, i tre designer Yamamoto, Miyake e Kawakubo hanno dimostrato che la moda orientale può essere all’avanguardia. Alcuni ritengono che questa rivoluzione sia stata incompleta, questo perché i tre – per essere lanciati sul mercato internazionale – hanno dovuto fare affidamento alla capitale della moda: Parigi.

La Cina di Mao e La Corea del Nord di Kim Jong-un

Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse.

Il nastro si riavvolge e ci proietta indietro nel tempo, al 1949: data in cui in Cina – in seguito alla Prima Repubblica Cinese – si insedia il Partito comunista. Questo periodo è contraddistinto da un tipo di abbigliamento in stile uniforme, in particolare dalla giacca Mao. File:Mao-Anzug.svg - Wikimedia Commons

Tale capo prevedeva una struttura particolare, caratterizzata da regole ferree. Sulla manica del capo vi erano tre bottoni, che corrispondevano ai tre valori principali del popolo: democrazia, nazionalismo e vita del popolo. Al centro troviamo cinque bottoni, simbolo delle componenti del governo nazionalista: legislativo, esecutivo, esaminativo e tutto ciò che riguardava la disciplina.  La giacca, in questo periodo, veniva utilizzata soprattutto dai leader politici.

Per quanto riguarda l’abbigliamento femminile, le donne utilizzavano un abito lungo dalle maniche a sbuffo, con colori scuri: nero e grigio.

Il qipao – importante durante i primi anni del Novecento – fu ad appannaggio delle donne dei politici per i viaggi all’estero.

Per certi versi la politica anti-occidentale di Mao somiglia molto a quella coreana attuale. L’obiettivo di Kim Jong-un è quello di eliminare la travolgente influenza proveniente dall’ovest del mondo. In una società così globalizzata è possibile una chiusura così netta?

Quello che la storia ci ha insegnato è che, in un modo o nell’altro, tutto quello che ci circonda inevitabilmente cambia il nostro modo di percepire la realtà. Probabilmente, impedire alla propria popolazione di visionare film internazionali, o indossare jeans attillati, non fermerà i due mondi dall’influenzarsi vicendevolmente.

Corea del Nord e Corea del Sud

Il leader nordcoreano si è scagliato apertamente contro i suoi nemici secolari: Usa, Giappone e Corea del Sud.

Si ricordi anche questo fatto: sono passati otto anni dalla nascita del leggendario gruppo K-Pop BTS, che ha investito prima la Corea e poi il resto del mondo. Kim Jong-un ha definito questi ragazzi “un cancro vizioso”, che sta rovinando la nuova generazione di nordcoreani.

La repressione non sembra conoscere limiti: la nuova legge prevede da cinque a quindici anni di lavori forzati per persone che guardano o posseggono forme di intrattenimento sudcoreane. Per chi si ritrova coinvolto nel traffico di materiale – come riviste e tutto ciò che riguarda la cultura sudcoreana – è prevista anche la pena di morte. Saranno puniti anche tutti coloro che parlano, scrivono e cantano in “stile sudcoreano”.

La guerra faceva da garante all’integrità mentale. Anzi, se si prendono in considerazione le classi dirigenti, costituiva la forma di garanzia più solida. Fino a quando le guerre potevano essere vinte o perdute, nessuna classe dirigente poteva ritenersi totalmente irresponsabile degli avvenimenti. Quando, però, diventa letteralmente continua, la guerra cessa anche di essere pericolosa.


FONTI

Repubblica.it

Simona Segre, Un mondo di mode. Vestire globalizzato, Laterza, 2011

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