Anacardi: quando uno spuntino salutare va contro i diritti umani

Avete mai assaggiato gli anacardi? Probabilmente sì, dato che si tratta di un frutto che ha conquistato una larga fetta di mercato in occidente. Si tratta di uno snack indubbiamente salutare, ricco di vitamine, fibre e proteine, e per tale ragione è usato di frequente all’interno della dieta vegana o vegetariana. Si mangiano tostati, sotto forma di creme, bevande vegetali oppure oli, come condimento per le insalate e in numerose altre ricette. Ma avete mai visto una pianta di anacardo?

È piuttosto improbabile che rispondiate “sì” a questa domanda, perché gli anacardi non crescono in Europa. Tra i principali produttori e consumatori troviamo l’India, tuttavia la crescente popolarità di questi frutti in occidente ha portato a un’enorme crescita nella produzione in tutto il mondo, tanto che, secondo alcune stime, il mercato globale di anacardi dovrebbe raggiungere i 13,48 miliardi di dollari entro il 2024.

Perché questo dato non è positivo

Per quanto salutari, ci sono molte problematiche legate al consumo di anacardi, spesso ignorate dai consumatori. Infatti, il commercio di anacardi nasconde gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei lavoratori che si occupano della loro produzione e lavorazione. Per comprendere come avviene la lavorazione dell’anacardo, è necessario innanzitutto sapere com’è fatto: il frutto è costituito da due parti, una carnosa (il cosiddetto “falso frutto”) e una più rigida, detta “nocciola di anacardio” o “mandorla di anacardio”, che corrisponde alla frutta secca a forma di fagiolo che tutti conosciamo.

Il falso frutto, detto anche “mela d’anacardio”, è commestibile, ma solitamente viene consumato (crudo, sotto forma di succo o di marmellata) solamente nei Paesi di origine della pianta (prevalentemente zone con un clima tropicale), perché la buccia è molto delicata e questa caratteristica rende sfavorevole il trasporto. Il frutto secco che abitualmente consumiamo, invece, è circondato da un guscio che lo protegge, composto da una resina fenolica, dall’acido anacardico e dall’uruhiol. Tutte sostanze velenose per l’uomo.

La tossicità del guscio, dovuta agli oli caustici in esso presenti, rende pericolosa la lavorazione dell’anacardio. Dopo una fase iniziale in cui gli anacardi vengono arrostiti e asciugati, bisogna sgusciarli, procedimento che avviene manualmente. Infine, gli anacardi vengono scottati una seconda volta, per favorire la definitiva eliminazione della pellicina che li ricopre. Tuttavia, l’esposizione prolungata a queste sostanze provoca dolorose ustioni alla pelle di chi si occupa di questo processo. Inoltre, i lavoratori impiegati in questa fase sono esposti per ore a sostanze tossiche che, se inalate, come spesso accade a causa dei fumi provocati dalla tostatura iniziale, possono provocare irritazioni polmonari.

Origini della pianta

Abbiamo detto che gli anacardi vengono coltivati in regioni con un clima molto caldo. Precisamente, però, l’albero di Anacardium è originario dell’America centrale e meridionale; e la specie più nota, cioè l’Anacardium occidentale, nasce nel nord est del Brasile. Il nome “anacardio” deriva appunto dalle lingue tupiane del Sud America, dove acajú significa “noce che riproduce”. Qui esistono infatti numerose varietà di questa pianta, dotata di una ricca biodiversità famigliare.

Oggi la pianta dell’Anacardium occidentale viene coltivata in regioni tropicali ed equatoriali, come nel sud est asiatico e in centro Africa, proprio per i potenziali guadagni dati dagli acquirenti occidentali, sempre più numerosi, soprattutto negli Stati Uniti. È necessario precisare che, benché il lungo processo di lavorazione dell’anacardio sia il principale motivo del loro costo tendenzialmente più elevato (rispetto ad altri tipi di frutta secca), tali guadagni non arricchiscono affatto coloro che sgusciano anacardi tutti i giorni.

Un anacardio vale una vita?

Le pessime condizioni di lavoro alle quali sono sottoposti i lavoratori (o meglio, le lavoratrici, dato che la maggioranza degli impiegati in quest’industria sono donne, soprattutto in India) sono infatti accompagnate da un salario bassissimo. Frequentemente, le persone non hanno un salario fisso, ma vengono pagate in base alla loro produttività, misurata nella quantità di noci lavorate: motivo per cui si affrettano a sgusciare quanti più anacardi possibile nel corso delle lunghe ore lavorative, senza badare alla propria incolumità.

I guanti sono una soluzione che potrebbe limitare il rischio di ustione alle mani, ma sono anche uno strumento che rallenterebbe il lavoro, e d’altra parte si lacerano molto facilmente. Perciò spesso i lavoratori preferiscono evitare di usarli, mettendo così a rischio la propria salute. Gli impiegati in questo settore, che non di rado lavorano senza garanzie, senza ferie e ovviamente senza contratti, sono in gran parte persone molto povere, che non hanno altra scelta se non lavorare qui. Per tale ragione è difficile opporsi a questi salari da fame, mantenuti bassi per compensare i costi di esportazione.

Anacardi di sangue: il caso del Vietnam

Il Vietnam, la già citata India e la Costa d’Avorio sono i tre Paesi nei quali è concentrata oltre la metà della produzione mondiale del nostro “spuntino salutare”. In queste aree, però, la violazione dei diritti dei lavoratori è un fatto quotidiano. Nel 2011, i rapporti di Human Rights Watch fecero emergere la brutalità delle condizioni di lavoro in Vietnam, dove venivano sfruttate persone tossicodipendenti per la raccolta e la lavorazione di questa noce tossica.

Anche in un articolo del Time vennero riportate tali atrocità, spacciate per “riabilitazione” dei soggetti tossicodipendenti. Si trattava in verità di veri e propri lavori forzati, dato che coloro che si rifiutavano di lavorare (tra cui soggetti minorenni) erano sottoposti a percosse e isolamento e addirittura privati del cibo. Nello stesso articolo, si parla di blood cashews, un termine forte ma efficace usato per descrivere, quasi in maniera ossimorica, la sofferenza che si nasconde dietro un cibo spesso considerato salutare, se non addirittura “eticamente preferibile” rispetto ad altre soluzioni.

L’articolo ha avuto conseguenze positive: innanzitutto, l’aumento di attenzione da parte dell’opinione pubblica su questa tematica, in secondo luogo, dopo diverse denunce e proteste internazionali, la decisione da parte del governo vietnamita di mettere fine a queste pratiche disumane, almeno in teoria. Infatti, non sempre le informazioni sull’industria degli anacardi sono trasparenti.

AAA cercasi alternative

Per coloro che volessero ugualmente gustarsi questo ottimo snack senza sentirsi indirettamente colpevoli di sfruttamento, c’è pur sempre il commercio equo e solidale. Ciononostante, attualmente soltanto il 3% degli anacardi è riconosciuto come fair-trade. Non sarà forse il caso di orientarsi su frutta secca più tradizionale, magari proveniente da luoghi a noi più vicini, in cui le condizioni di lavoro sono rispettate? Ricordiamo, a titolo di esempio, che l’Italia nel 2021 è al secondo posto a livello mondiale per al produzione di nocciole. A noi (consumatori) la scelta.

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