“L’atelier del pittore” di Courbet

Abbiamo già parlato della genialità e dell’estro del magnifico Gustave Courbet, massimo esponente del Realismo (movimento artistico e letterario sviluppatosi nella seconda metà dell’Ottocento in Francia), autore de L’Origine du Monde (leggi qui l’articolo dedicato). Courbet è noto anche per aver realizzato il maestoso olio su tela L’atelier du peintre (L’atelier del pittore), oggi conservato al Musèe d’Orseay a Parigi. Un quadro che lascia senza fiato e che suscita molteplici interpretazioni.

Antefatto

L’atelier du peintre è da considerarsi il manifesto artistico, politico e morale di Courbet; l’intento dell’artista era proprio quello di riassumere in un’unica opera le scelte fatte nel corso di tutta la sua vita, come si evince dal titolo completo della tela: L’atelier du peintre. Allégorie réelle déterminant une phase de sept années de ma vie artistique et morale ( L’atelier del pittore, allegoria reale che determina sette anni della mia vita artistica e morale).

Descrizione

Il dipinto ritrae Courbet al centro della composizione mentre sta dipingendo una tela che a sua volta ritrae il paesaggio di Ornans. Alla sua sinistra troviamo un fanciullo intento ad osservare l’artista e un gatto che gioca a terra. Alle sue spalle una figura femminile in posa accademica, invece, si lascia scivolare un telo, scoprendo il corpo nudo.

Possiamo suddividere l’opera in due parti: nella prima (a destra) abbiamo un gruppo di intellettuali di tutti i campi del sapere piuttosto riconoscibili come: il letterato Baudelaire (amico del pittore), Promayet, Bruyas, Proudhon, Champfleurly, Sabatier, dai critici rinominati “quelli che vivono di vita”.

Nella seconda parte (a sinistra) abbiamo invece un gruppo di gente popolare come: un usuraio ebreo (estrema sinistra), un prete cattolico, una donna irlandese e un manichino simbolo del Neoclassicimo. Ai piedi di questo secondo gruppo invece abbiamo un Cappello, un mandolino e un pugnale che stanno a rappresentare il Romanticismo. Quest’ultimi rinominati “quelli che vivono di morte”.

Personaggi e oggetti posizionati in maniera strategica e perfettamente simbolica.

Sullo sfondo, infine, abbiamo la rappresentazione del suo atelier, ossia un vecchio granaio concessogli dal padre per poter lavorare in piena libertà.

Nel complesso troviamo un’opera in cui prevale l’utilizzo di colori scuri o brune alternate a quelle più luminose che conferiscono così struttura e dinamicità all’intera composizione La luce soffusa del dipinto conferisce allo spettatore l’idea di un luogo misterioso, indefinito e sospeso tra le numerosissime allegorie fortemente volute dall’artista. È evidente inoltre la predilezione di Courbet per la natura morta, i paesaggi e gli sfondi naturali, gli animali (come il gatto) e le vedute d’interni.

Chiavi interpretative

È il mondo che viene a farsi dipingere da me: a destra gli eletti, ovvero gli amici, i lavoratori, gli appassionati del mondo dell’arte. A sinistra, gli altri, coloro che conducono un’esistenza banale, il popolo, la miseria, la povertà, la ricchezza, gli sfruttati, gli sfruttatori, le persone che vivono della morte altrui.

Nel dipinto, Courbet, che dipinge a sua volta il suo luogo natio, si trova al centro, per sottolineare la funzione sociale e di mediazione dell’artista. Egli è assistito da due figure che riassumono i cardini della sua poetica: il bambino, simbolo dell’innocenza e della spensieratezza propria dell’arte; e la figura femminile, nuda, in posa accademica, che svela (come il Realismo svela la realtà) un corpo non idealizzato, ma simile a quello di ogni donna comune, discostandosi ancora una volta dalle tecniche del Neoclassicismo, simboleggiato dal manichino dietro la tela: una figura priva di vita che indica la fine del “bello e ideale”.

“Quelli della morte” è il gruppo in cui predilige un colore bruno, perché sono coloro che vivono di cose morte. Essi si rifugiano nei beni materiali e vivono una vita banale; senza guardare né i drammi interiori né quelli di coloro che li contornano. Il bracconiere è simbolo dello svago; il rabbino rappresenta la cecità della chiesa nel guardare il degrado sociale; la prostituta è il vizio fatto persona; la donna irlandese che allatta il proprio fanciullo è simbolo della grave crisi economica di quegli anni in Irlanda.

 “Quelli che vivono di vita”, invece, sono coloro che sono più vicini all’artista, come il suo mecenate Bruyas, o Baudelaire assorto nella lettura di un libro. Il messaggio è chiaro: la vita è arte, letteratura, amore, poesia, filosofia e musica.

Pubblico

L’opera fu presentata da Courbet tra il 1854 e il 1855 al Salon, dove il pubblico la rifiutò categoricamente a causa delle sue dimensioni monumentali (361×598 cm). Dopo tale affronto, Gustave Courbet decise di aprire una propria sala espositiva dove esporre le proprie opere, chiamandola in maniera provocatoria “Il Padiglione del Realismo”.


 

FONTI

Wikipedia.com 

analisidellopera.it 

Il Cricco di Teodoro, Itinerario nell’Arte, versione Azzurra, Zanichelli, 2018

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