Identità di genere, un glossario per imparare a parlarne

Transessuale, cisgender, genere non binario, genderfluid: l’identità di genere ha tanti e diversi volti. Per raccontarla, le testate e i media usano termini, sensibilità e approcci differenti. Ma guardando alla narrazione nel suo insieme, emerge come la società non si sia ancora adattata a ciò che si conosce sulle differenze di genere. La tragica vicenda di Maria Paola Gaglione e Ciro Migliore, il secondo coming out di Elliot Page, la scomparsa di Gianna, una donna transgender di 49 anni, hanno presentato il problema di come narrare i fatti, oltre che descriverli, senza cadere nel binarismo etero-normativo, ignorando la distinzione tra identità di genere e orientamento sessuale.

La storia di Searyl Alti, il primo bambino al mondo che non è indicato né come maschio né come femmina sui documenti ufficiali nella categoria riservata al sesso, ha ispirato discussioni sui problemi relativi all’identità di genere e al sesso, sia dal punto di vista teorico e scientifico che dal punto di vista legale e pratico. Questo primo documento pubblico, ovvero un tesserino sanitario, dove non viene specificato il sesso di un bambino, è stato rilasciato dalla Columbia Britannica su richiesta del genitore Kori Doty.

Non deve passare inosservato come le istanze individuali di Kori Doty siano state accolte in un atto fortemente polico dal governo, anche causando varie controversie: nessun documento governativo ne identifica  il sesso; nel campo in cui va identificato quest’ultimo si trova una U che può significare sia “unassigned” (non assegnato) che “undetermined” (non determinato). Il genitore ha spiegato che il suo obiettivo è “cambiare il modo in cui veniamo identificati, a partire dal certificato di nascita”. L’identità di genere si chiarisce a pochi anni dalla nascita, riferisce Doty, e per questo vuole che sia Searyl a decidere in cosa identificarsi quando sarà in grado.

Referenti diversi, identità di genere e sesso biologico

Dal punto di vista anatomico il bambino canadese è probabilmente maschio o femmina. Per sesso biologico si intende quindi, tradizionalmente, il corpo sessuato determinato dall’insieme dei caratteri fisici e biologici specifici che contraddistinguono maschi e femmine in base alla funzione riproduttiva. Ma già da questa prima definizione, dal punto di vista dello studio delle identità, questa esclusività risulta problematica: priva delle parole un significativo numero di persone caratterizzate da uno sviluppo sessuale differente per descrivere sul piano corporeo la propria identità sessuale.

Quella a cui si tende a ricorrere oggi è allora una definizione descrittiva del sesso biologico che includa ogni possibile conformazione fisica dell’apparato sessuale. Con  la parola sesso, un tempo, si indicavano anche altre qualità di una persona oltre alla forma del suo corpo, come ad esempio il suo comportamento o le sue attitudini. Questo però esclude le persone che essendo anatomicamente donne o uomini si sentono rispettivamente uomini o donne, oppure né donne né uomini, o donne in alcuni periodi e uomini in altri.

A partire dagli anni Cinquanta John Money, psicologo e pioniere nello studio dell’intersessualità, ha cominciato a usare la parola genere per distinguere i due aspetti e rendere conto di una condizione di discontinuità tra sesso e identità di genere. Il genere, dunque, non è tanto qualcosa di “innato” (poiché non è una conseguenza obbligata e una naturale manifestazione del sesso), quanto invece quel complesso di modelli socialmente precostituiti basati essenzialmente sull’insieme di differenze tra uomini e donne. Il genere indica così sia la percezione che ciascuno ha di sé, l’identità di genere che il sistema socialmente costruito attorno a quelle stesse identità, il ruolo di genere.

Intorno alle questioni sull’identità sessuale

A un altro e ulteriore “livello” dell’identità sessuale si trova l’orientamento sessuale, che a differenza degli altri riguarda l’attrazione emotiva ed erotica. Esso identifica la predisposizione dell’individuo a sentirsi sessualmente attratto dall’uno, l’altro o entrambi i sessi/generi. Si parla dunque di eterosessualità quando l’attrazione è esclusivamente verso il sesso opposto, di bisessualità quando è verso entrambi i sessi, o di omosessualità quando è esclusivamente verso il proprio sesso.

A queste categorie nel tempo se ne sono aggiunte diverse altre. Tra queste, per esempio, la categoria pansessualità in riferimento a persone attratte non solo dai due sessi canonici come nel caso della bisessualità, ma anche da quelle persone che non rientrano nella categorizzazione dicotomica, come le persone transgender e intersessuali. La relazione costante dell’individuo con le proprie attrazioni, a partire dal sistema dei suoi valori, le interazioni sociali in cui è inserito e il complesso di significati a cui fa riferimento, è riflessa dall’identità di orientamento sessuale, ovvero la definizione che si dà del proprio orientamento sessuale.

A questa dimensione dell’identità sessuale si riferisce il concetto di fluidità sessuale, riflettendo la capacità di cambiamento nella vita di una persona della sua definizione del proprio orientamento sessuale. Il modo di definirsi e di rappresentarsi infatti non è sempre “coerente” con l’orientamento sessuale: contrariamente a quest’ultimo, l’identità di orientamento sessuale è soggetta a una evoluzione costante.

Per esempio, ci sono e ci sono sempre state persone che per vari motivi considerano di essere “eterosessuali” anche se hanno un orientamento omosessuale o bisessuale, così come ci sono persone che per ragioni culturali non usano le categorie dell’orientamento sessuale per definirsi pur avendo un orientamento sessuale etero-, bi- o omo-. Un approccio importante riconosciuto dalla comunità scientifica è quello rappresentato dai gender studies, studi e ricerche condotte a proposito di questi differenti aspetti e temi delle identità sessuali, delle loro origini e dei rapporti tra soggetti e contesti sociali e culturali.

Il bisogno delle parole

Come spiegato dalla guida orientativa della Società Italiana di Psicoterapia per lo Studio delle Identità Sessuali, il sesso, l’identità di genere e l’orientamento sessuale sono i tre criteri usati dalla maggior parte degli esperti per definire e classificare le identità sessuali. Ma anche tra chi distingue i tre concetti, la visione di questi non è univoca: si tende ancora a considerarli come tre categorie in cui ci sono due opzioni da scegliere, cioè rispettivamente M/F, uomo o donna, “mi piacciono gli uomini” o “mi piacciono le donne”.

Secondo Lorenzo Bernini, professore all’Università di Verona, “il sistema classificatorio sesso-genere-orientamento sessuale è dunque imperfetto, insufficiente e contraddittorio”. Un simile tipo di semplificazione e schematizzazione infatti non rende conto della complessità della realtà, delle sue diverse e possibili sfumature. Queste ultime ci sono sia da un punto di vista biologico,  dove si situano le condizioni “intersessuali”, sia dal punto di vista dell’orientamento sessuale. Le cose sono ancora più complicate quando parliamo di identità di genere, in quanto il genere non c’entra con l’anatomia, e sfugge dunque alle descrizioni semplicistiche.

Proprio nella realtà transgender e gender non conforming, il genere può essere considerato come uno “spettro” con molte sfumature possibili. Per questo motivo diversi Paesi hanno introdotto diverse varianti del “terzo genere”, utile per descrivere le esperienze di coloro che non si riconoscono nell’identità di genere riconosciutagli alla nascita insieme al sesso anatomico. Rispetto ad altri Paesi, come quelli anglosassoni o la Germania, la discussione sulle definizioni delle diverse identità di genere in Italia è molto più recente.

Lessico non famigliare

Le stesse questioni relative all’identità di genere pongono, dunque, delle sfide linguistiche: per comprenderne la complessità occorre fare ancora più chiarezza sui termini in uso. Accanto alle parole e definizioni diventate di uso comune, troviamo sia termini in fase di consolidamento, sia delle novità che si leggono più raramente.

  • Transgender: fa riferimento alla persona la cui identità di genere ed espressione di questa differisce in modo importante dal genere assegnatogli alla nascita. Al contrario di quello che può esser il pensiero comune, la persona transgender non necessariamente altera la propria anatomia e fisiologia per mezzo di cure ormonali e/o interventi chirurgici.
  • Cis-gender: affiancato a quello di transgender, il termine definisce una persona che si riconosce nel genere corrispondente al suo sesso biologico.
  • Female-to-male o Transmen: indica soggetti di sesso biologico femminile che sono in transizione o che hanno completato la transizione da femmina a maschio.
  • Male-to-female o Transwomen: si riferisce a un soggetto di sesso maschile che vuole diventare di sesso femminile.
  • Identità non binarie: identifica i soggetti che non riconoscono di appartenere alla convenzione binaria di genere uomo/donna.
  • Genderfluid: chi si identifica come gender fluid può sentirsi donna, uomo, no-gender o qualsiasi altra identità, variando nel tempo.
  • Agender: usato per descrivere una persona che non ritiene di appartenere a un particolare genere, non avendo un allineamento personale né con il concetto di “uomo” né di “donna”
  • LGBTQI+: con la sigla si indicano solitamente le persone che non sono eterosessuali e le persone non cisgender. Questo include persone lesbiche (L), gay (G), bisessuali (B), persone transgender (T), queer (Q) e intersessuale (I) riferendosi a una condizione fisica per la quale una persona ha caratteristiche fisiche diverse da quelle tradizionalmente associate a maschi e femmine. Il + finale è usato in questo contesto per evitare di escludere alcuni orientamenti o identità di genere dalla sigla.

Anche a livello grammaticale il linguaggio viene problematizzato e politicizzato per essere il più inclusivo possibile. Da qui la proposta negli Stati Uniti di molte persone di genere non binario di riferirsi loro usando il pronome personale they (essi), invece che he o she, cioè “lui” e “lei”, pur coniugando i verbi al singolare. Una proposta più recente e dibattuta è quella di utilizzare lo schwa [ə], un suono vocalico neutro nel tentativo di rendere l’italiano più rispettoso nei confronti di chi non si riconosce in una lingua strettamente binaria.

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