La Rai vieta la blackface sulle sue piattaforme

La presa di posizione della Rai

La Rai prende posizione sulla questione della blackface. Il direttore di Rai 1, Stefano Coletta, e quello di Rai per il sociale, Giovanni Parapini, hanno assunto formalmente l’impegno di evitare che fenomeni simili avvengano ancora sugli schermi della Rai. Con il seguente comunicato stampa comunicano che:

Nel merito della vicenda per la quale ci avete scritto, diciamo subito che assumiamo l’impegno – per quanto è in nostro potere – ad evitare che essa possa ripetersi sugli schermi Rai. Ci faremo anzi portavoce delle vostre istanze presso il vertice aziendale e presso le direzioni che svolgono un ruolo nodale di coordinamento perché le vostre osservazioni sulla pratica del Blackface diventino consapevolezza diffusa.

La presa di posizione della Rai è il risultato di una inchiesta inoltrata nel mese di gennaio da un gruppo di associazioni impegnate contro le discriminazioni e il razzismo. Le associazioni sono Lunaria, Italiani Senza Cittadinanza, Cospe ONLUS, Arci e Il Razzismo è una brutta storia. Quest’ultime avevano inviato una lettera alla RAI invitandola ad abbandonare la pratica del trucco scenico in tutte le trasmissioni televisive di intrattenimento diffuse sul servizio pubblico.

Le associazioni hanno deciso di collaborare e attivarsi a seguito della puntata di Tale&Quale Show del 20 novembre 2020. Nel corso della puntata, il concorrente Sergio Muniz ha imitato il rapper italo-tunisino Ghali. In quella circostanza, si legge sul sito di Lunaria, per le associazioni:

Era apparsa evidente la scelta di scurire il volto e di accentuare altri tratti del viso e dei capelli, allo scopo di sottolineare il colore della pelle del cantante.

Lo stesso Ghali, dopo l’episodio dello show, si è rivolto direttamente alla Rai nelle sue storie di Instagram:

Potete dire che esagero, che mi devo fare una risata e che non si vuole offendere nessuno, lo capisco. Ma per offendere qualcuno basta semplicemente essere ignoranti, non bisogna per forza essere cattivi o guidati dall’odio. Si può anche essere delle brave persone e non sapere che la storia del blackface va ben oltre un semplice make up, trucco o travestimento.

Cos’è la blackface e perché è offensivo anche in Italia?

In breve, fare “blackface” vuol dire dipingersi viso e corpo di nero. Ci si trucca in modo marcatamente non realistico per assumere le sembianze stilizzate di una persona di pelle nera (ne abbiamo già parlato qui).

La pratica della blackface, come sappiamo, è stata consolidata negli Stati Uniti con il ministrel show, lo spettacolo teatrale musicale (ne parliamo qui). La visione distorta delle persone nere che è derivata dalla pratica della blackface ha impregnato la società americana e non solo.

La blackface è una pratica performativa eterogenea, ma globale e transnazionale in cui un individuo bianco si applica un trucco scenico per apparire nero, africano o afro-discendente. L’intenzione è accentuare le caratteristiche fisiche ma anche comportamentali delle persone nere. Per cariche comportamentali si intendono i pregiudizi che vedono le persone nere come ignoranti e superstiziose.

La pratica della blackface è una riaffermazione dell’inferiorità delle persone nere attraverso il rinforzo degli stereotipi che li opprimono tutti i giorni.

Tornando alle origini del fenomeno, gli spettacoli erano ideati per il pubblico bianco, il quale si divertiva a vedere delle figure grottesche sul palco. Le persone nere erano rappresentate in modo distorto e ciò consentiva ai bianchi di riderne. Si dimenticavano gli orrori della schiavitù e rafforzavano gli stereotipi che confermavano la superiorità bianca. Inoltre, era proibito agli schiavi neri di rappresentare se stessi. Oggigiorno, il problema sussiste. Vengono imitati i tratti esteriori di una minoranza ma le persone che posseggono tali tratti vengono escluse dalle trasmissioni stesse (chiediamoci, quanti dei partecipanti a questi talent-show sono neri?).

Una delle prime argomentazioni a favore del blackface in Italia è che esso non esiste nella nostra tradizione. Molti sostengono si tratti di un fenomeno tipicamente americano che ha un valore negativo solo negli USA.

Basti pensare che in Italia sono stati individuati una sessantina di casi di blackface dall’inizio del XX secolo ad oggi (vi ricordate lo spot di Alitalia?). Un problema del dibattito sulla blackface è che le persone nere non sono parte del discorso, sono l’oggetto, ma mai il soggetto. Inoltre, è importante ricordarsi che quando la pratica della blackface iniziò ad essere condannata negli anni quaranta, fu anche grazie alla crescente letteratura di afroamericani che denunciavano tutti gli atti di oppressione. In Italia, la letteratura afro-italiana sta ancora nascendo.

Perché è una pratica razzista?

Ci sono diverse sfumature del fenomeno della blackface che la rendono una pratica razzista. Quella più evidente è il ricalcare gli stereotipi che i bianchi hanno dato ai neri e sono proprio gli stessi stereotipi che venivano utilizzati per giustificare l’oppressione e le violenze verso le persone nere.

Questi stereotipi sono vivi e vegeti anche nella nostra società. Nel contesto italiano (ed europeo), questi stereotipi sono nati durante l’imperialismo e sono una base fondamentale del razzismo sistematico presente nel nostro Paese.

Inoltre, l’azione di dipingersi la pelle per un giorno, per una festa o per un talent show, finisce per sminuire la condizione di discriminazione delle persone nere. Loro sono nere ventiquattro ore su ventiquattro e subiscono tutti i giorni sulla loro pelle cosa voglia dire essere neri oggi (stereotipi, luoghi comuni, commenti fuori luogo sulla provenienza, ma anche aggressioni verbali, fisiche e micro-aggressioni giornaliere).

È preoccupante vedere come parte dei media non colgano che in una società multiculturale come quella italiana, i retaggi coloniali e schiavisti sono riferimenti pesanti da sopportare per le minoranze.

Le intenzioni vs l’effetto

Molto spesso, per giustificare i fenomeni come la blackface o l’utilizzo di termini come ne**o e  fr***o, si presta particolare attenzione alle intenzioni innocue dell’atto, enfatizzando come spesso le persone che utilizzano questi termini non lo facciano con intenti razzisti o offensivi.

Recentemente, il duo comico pugliese Pio e Amedeo, nell’ultimo episodio del programma Felicissima Sera, ha voluto elencare tutte le cosiddette “parole proibite” dalla dittatura del politically correct, secondo loro.

Nel loro monologo, hanno dichiarato che: “quando vi chiamano così (ne**o) non ve la prendete. Non è l’uso della parola il problema, ma l’intenzione”. Il duo ha enfatizzato molto il concetto secondo il quale si deve prestare attenzione alla cattiveria che si associa alla parola e non alla parola in sé.

Il problema è che le intenzioni non annullano gli effetti delle azioni. Il razzismo non è determinato solo dalle intenzioni e il dolore conseguente che viene sentito dalle minoranze in questione ogni volta che si utilizzano termini denigratori nei loro confronti resta.


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