L’arte del sorriso: storia ed enigmi della mimica facciale

L’arte del sorriso intriga per la sua natura enigmatica. Perché un sorriso nasce dalla precisa interazione di dodici muscoli facciali, ma non esiste un unico modo per dipingerlo. Dalla sua conformazione mutevole traspaiono le più diverse emozioni a cui l’arte cerca di dare una personale interpretazione, sullo sfondo degli studi psicologici, sociologici e neurologici.

Il sorriso di Mona Lisa

Ma partiamo dal principio. Il sorriso è una risata smorzata in un’increspatura delle labbra. Un lieve movimento causato da una contrazione muscolare. Non si può, però, ridurlo a  semplice reazione meccanica indotta da circostanze esterne. C’è molto di più dietro a quello spostamento involontario delle labbra. Che poi, così involontario, potrebbe non essere.

Quanti tipi di sorriso esistono?

Dal sorriso possono affiorare gioia, paura, imbarazzo, malizia, autocompiacimento, ironia. Lo dimostra lo studio condotto da Carney Landis all’Università del Minnesota, nel 1924. Landis, studioso di sociologia, sottopose i suoi soggetti a diverse situazioni esterne. Dalla musica rilassante, al materiale pornografico, fino alla vivisezione di un topo. Fu strano constatare che la maggior parte delle reazioni facciali portavano un sorriso. Enigmatico, come quello della Gioconda (1503) di Leonardo Da Vinci.

L’esperimento codificò diciannove tipi di sorriso, di cui solo sei legati alla felicità. Gli studi proseguirono fino 1978, quando il Professor Paul Ekman, dell’Università della California, ne individuò cinquanta tipi. Perfetti nella loro variabilità e conformi a essere ritratti dalla pittura e dalla fotografia.

Judith Leyster, Un ragazzo e una ragazza con un gatto e un’anguilla (1635)

Quando l’arte rinunciava al sorriso

Tuttavia, la Storia dimostra come l’arte, per molti secoli, abbia rinunciato al sorriso. La sua era una rappresentazione privativa, in assenza. Non era convenzionale vedere un volto sorridente in un ritratto, anzi era del tutto inopportuno. E questo giustifica lo sconcerto e la sorpresa di fronte alla particolare espressione della Mona Lisa. Ma perché rinunciare al sorriso?

Sin dal Rinascimento, i soggetti dipinti aspiravano all’idealizzazione eterna della loro immagine. La nobilitazione d’animo e l’elevazione divina dovevano quindi rinunciare al sorriso perché era considerato come espressione popolare di pochezza morale. Lo dimostrano i ritratti contadini dei pittori olandesi del Seicento, dove la spensieratezza e l’ingenuità colorano i volti dei popolani dipinti. Non traspare alcuna traccia di malizia o falsità nelle loro espressioni. C’è solo l’appagamento di chi si accontenta di poco. Di chi ritaglia fragili frammenti di felicità da una vita dura, dolorosa e faticosa.

Ritratto di famiglia, 1920

Perché non si sorrideva nei ritratti?

In questo caso il sorriso è rappresentazione di una felicità caduca. Il suo destino è quello di  spegnersi dopo essere stata immortalato sulla tela. Forse è per questo che, anche con l’avvento della fotografia a fine ‘800, i soggetti ritratti non volevano concedersi un sorriso, neanche per uno scatto.

Ma l’assenza di sorriso nei primi foto-ritratti ha altre cause.  All’epoca non si trattava solo di una dentatura mal curata, ma c’era anche una motivazione sociale. Il sorriso era un tabù, che toglieva all’immagine serietà e accettabilità. Inoltre, i soggetti ritratti dovevano rimanere in posa per un lungo periodo di esposizione. Quindi, non era fisicamente possibile mantenere intatta un’espressione fissa. Sembra, anzi, che la serietà rivelasse molto di più di un sorriso. Che lasciasse trasparire una purezza d’immagine, deprivata di quel meccanico cheese davanti all’obiettivo fotografico.

Ed è qui che si cela l’ambiguità del sorriso, quella natura criptica che definisce l’arte di sorridere. Sembra impossibile leggere cosa nasconda una particolare conformazione della bocca, nonostante la comunicazione facciale abbia la più potente capacità espressiva. Che sia un quadretto familiare in vacanza o un’occasione festiva tra amici, uno scatto può comunicare molte interazioni nascoste.

arte del sorriso
Karl Jakob Theodor Leybold, Brother and Sister (1823)

Il sorriso più genuino è quello di un bambino

Non c’è però sorriso più genuino di quello di Duchenne. Questo trae il suo nome dal neurologo francese Guillaume Duchenne, che per primo, nel 1862, studiò il sorriso ingenuo e naturale dei bambini. Loro conservano infatti la perfetta combinazione di luminosità di sguardo e simmetria dei vertici laterali della bocca. Una vera e propria innata arte facciale, così come traspare dai soggetti del ritratto di Jakob Leybold Brother and Sister (1823).

Il sorriso dei due bambini riflette un’amorevolezza naturale. Il loro movimento facciale è  strettamente connesso al sistema limbico del cervello, che governa le emozioni, e per questo, è universale. Si tratta dunque di un puro inno alla spontaneità, anche se vincolato alla fissità della posa espositiva. Tuttavia il sorriso è anche una maschera situazionale e, come tale, si diversifica in base alle zone geografiche del mondo.

La poliedricità espressiva tra cultura emotiva e sfoggio attoriale

Si parla di cultura emotiva di un Paese in relazione alla mimica facciale adottata dai suoi abitanti. Ed è stato dimostrato come i Paesi storicamente caratterizzati da contaminazione e mescolanza etnica abbiano una maggiore propensione al sorriso, dato che per loro è una forma sociale di accettazione. I Paesi più omogenei etnicamente, come quelli asiatici, tendono invece a un sorriso smorzato. Questo testimonia timidezza o sottomissione.

Si torna quindi alla poliedricità misteriosa del sorriso, che il fotografo inglese Andy Gotts ha indagato sui volti delle celebrità hollywoodiane. Gli attori, sottoposti continuamente alle luci dei riflettori e alla macchina da presa, davanti all’obiettivo di Gotts, hanno mostrato invece un loro lato inedito. In quegli scatti in bianco e nero non cercano, infatti, di mostrarsi secondo canoni predefiniti, ma sperimentano le più particolari espressioni facciali.

L’arte del sorriso: una comunicazione misteriosa

Dicono che il sorriso possa invecchiare un volto, portandone alla luce le imperfezioni. Che a volte possa essere una maschera, che nasconda un più profondo tormento interiore, come per Joker, magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix nel 2019. E si possono costruire molte parole attorno alla sinuosità mutaforme del sorriso, ma altrettante rimangono piegate dietro a quelle labbra e a quegli occhi, che nessuno saprà decifrare.

L’arte contribuisce, con il realismo fotografico e pittorico, a fornire una narrazione di come possono influire i cambiamenti storici, culturali e personali sulla mimica facciale. Così come gli studi psicologici, sociologici e neurologici. C’è però una parola, una frase o un’intera storia racchiusa nei pochi secondi in cui si consuma un sorriso. Quella rimane a noi, segreta. Intima e personale, ora e per sempre.


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