lezioni americane

Leggero, anzi leggerissimo: le “Lezioni americane” di Italo Calvino

Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere. (Quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quello che vuol sapere e Glielo dirò. Ma non Le dirò mai la verità, di questo può star sicura.

Calvino nella lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno 1964

Leggere Calvino è sempre una rivelazione e non è facile spiegare il perché, ma da uno che viene chiamato lo scoiattolo della penna ci si aspetta non poco. “Six memos for the next millennium” è il nome della raccolta delle sei lezioni per l’Università di Harvard che la morte improvvisa dell’autore ha lasciato senza un titolo italiano, poi scelto dalla moglie quale “Lezioni Americane”. In ogni lezione Calvino svela una specificità della letteratura che considera essenziale per il prossimo millennio, elementi che sono presenti e strutturali nei suoi testi.

La prima lezione è dedicata alla leggerezza; cosa esiste più leggero di Calvino? E non si tratta solamente della leggerezza dei personaggi o dei luoghi, come si può ben capire pensando ad Agilulfo de Il Cavaliere inesistente o a Le città invisibili, la leggerezza di Calvino invade anche il linguaggio e la struttura del racconto. Propone lui stesso una definizione di quello che è stato il suo lavoro: sottrazione di peso. Ci si potrebbe chiedere perché la leggerezza e non il peso, anche in questo caso la risposta dello scoiattolo è leggera: sulla leggerezza pensa d’aver più cose da dire. Questa sottrazione di peso non è sintomo di superficialità o frivolezza; la leggerezza di Calvino non è pensiero privo di sensibilità, è anzi, come lui la definisce, leggerezza della pensosità, ovvero quel leggero che può rendere visibile l’essere della frivolezza come pesante e opaco.

L’eroe che per Calvino meglio rappresenta questa leggerezza è Perseo: per tagliare la testa a Medusa e sfuggire al suo sguardo che tutto trasforma in pietra, si sostiene sui venti e, per poterla guardare, senza però essere pietrificato, osserva la sua immagine sfruttando il riflesso dello scudo. Non finisce qui la leggerezza di questo mito: dal sangue della Gorgone nasce Pegaso, un cavallo alato che con un colpo di zoccolo dà origine a una fonte da cui bevono le Muse.

La testa decapitata non viene abbandonata, Perseo mettendola in un sacco la porta con sé e usa il suo potere solo contro i nemici che meritano una tale punizione. È Ovidio, nelle Metamorfosi, a svelare la più profonda delicatezza di Perseo: dopo aver sconfitto un mostro marino, per lavarsi le mani deve posare la testa di Medusa, non la mette a terra ma “rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sott’acqua e vi depone la testa di Medusa a faccia in giù”, i ramoscelli venuti a contatto con la Gorgone si trasformano in coralli.

Perseo è leggerissimo in ogni sua azione, sono la sua attenzione e il suo spirito a renderlo tale. Viene citata, in questa prima lezione, una frase di Paul ValéryIl faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume”, Perseo non sarebbe di certo la piuma. Sono molteplici gli esempi che Calvino fa per trasmettere e capire la leggerezza di cui parla, fra questi c’è anche Leopardi, e non si parla di pessimismo, ma di una felicità che non può essere raggiunta nel modo in cui la si desidera e immagina; anche Leopardi ha sottratto peso, la consistenza del suo linguaggio, per Calvino, è arrivata ad assomigliare a quella della luce lunare.

Ma passiamo alla seconda proposta, quella della rapidità. Quanta leggerezza c’è in questa parola? Scrivere un racconto o narrare un qualunque accadimento obbliga a giocare con la durata, a stabilire un ritmo; nel raccontare si ha il potere di contrarre e dilatare il tempo. Quello che conta non è la velocità fisica ma quella mentale, la sensazione che si prova quando la rapidità e la concisione permettono la creazione di immagini e idee che paiono evolversi autonomamente ed essere quasi simultanee.

Queste immagini non nascono così spontaneamente, la ricerca di un’espressione densa, rapida e insostituibile è ciò che rende possibile questa evocazione. La ricerca del ritmo, della parola migliore, della ripetizione, non è caratteristica della poesia, ma di ogni scrittura che vuole essere leggera e memorabile. In poche parole, Calvino, riesce a unire tutto questo: “sogno immense cosmologie, saghe ed epopee racchiuse nelle dimensioni di un epigramma”.

La ricerca dell’esattezza è la terza proposta, ed è un’attività che muove verso due direzioni: verso uno spazio mentale di una razionalità essenziale, quasi scomposta, fatta di punti, linee e forme astratte, o verso uno spazio di parole e oggetti in cui si cercano termini equivalenti a quello spazio. Sono due modi di ambire all’esattezza, ma nessuno dei due la raggiungerà mai in modo assoluto. La prima perché il linguaggio non sarà mai essenziale quanto l’informazione, ci sarà sempre un qualcosa in più; la seconda perché nel riportare la continuità e la corposità del mondo, il linguaggio si rivela incompleto rispetto alla totalità del vero. Entrambe le direzioni, però, sono da esplorare; Calvino sostiene di oscillare fra le due.

La quarta conferenza, quella sulla visibilità, sarebbe dovuta iniziare, ispirandosi a un verso di Dante, da una constatazione: “la fantasia è un posto dove ci piove dentro“.

Dante, in due terzine del Purgatorio, (XVII, 13-18) cerca di definire se la parte visuale della sua fantasia è precedente o contemporanea all’espressione verbale. Calvino distingue due processi immaginativi: uno che parte della parola e giunge all’immagine visiva e l’altro che, al contrario, partendo dall’immagine arriva all’espressione verbale. Lo scrittore dichiara che, nell’ideazione di un racconto, parte da un’immagine che gli si presenta come carica di significato e sono le rappresentazioni visive stesse a sviluppare le loro potenzialità a cui, poi, deve dare un ordine e stabilirne la struttura all’interno della storia; la scrittura assume, da questo momento, sempre più importanza: attraverso il testo scritto si possono concretizzare tutte le realtà e le fantasie, tutto sarà composto “dalla stessa materia verbale”.

Per parlare di molteplicità Calvino decide di partire da una citazione di Gadda, scrittore che vede il mondo come un garbuglio, un gomitolo, un “sistema di sistemi”. Nelle sue pagine, spesso, il dettaglio si dilata fino a coprire la visione complessiva del tutto, un’espansione che ha impedito a molti dei suoi romanzi di concludersi. Rappresentare il molteplice è un’ambizione della letteratura che viene dal passato, ne sono un esempio Ovidio e Lucrezio, e non solo il molteplice del reale ma tutta la potenzialità che si nasconde in esso, dunque il molteplice potenziale. Un esempio pratico di molteplicità nella produzione di Calvino è Se una notte d’inverno un viaggiatore in cui, all’interno di una cornice, si sviluppano, ognuno in modo diverso, dieci inizi di romanzi. La molteplicità, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non si allontana dalla verità interiore ma, anzi, permette di esprimere quella combinazione di esperienze, informazioni e immaginazione che ognuno ha.

La sesta lezione è inedita, il materiale pubblicato è ricavato dalla stesura provvisoria dei manoscritti. Questo capitolo è stato intitolato Cominciare e finire. Il cominciare è il momento della scelta, in cui tutto si può dire e può essere detto in ogni modo possibile; l’inizio è, per eccellenza, il luogo letterario: non ha alcun limite. Non è mai il finale il luogo verso cui portava l’azione del raccontare, ciò che conta è già avvenuto; il finale veramente importante è quello in cui tutto il romanzo viene messo in discussione. Ma per Calvino, inizio e finale, pur essendo simmetrici sul piano teorico non lo sono su quello estetico.

La storia della letteratura è ricca d’incipit memorabili, mentre i finali che presentino una vera originalità come forma e come significato sono più rari, o almeno non si presentano alla memoria così facilmente.

Ed è con un leggero “si continua a raccontare ancora” che si sarebbe conclusa, forse, l’ultima delle sei lezioni.


FONTI

Italo Calvino, Lezioni Americane, Mondadori (2016)

CREDITS

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