I simboli della Pasqua sono molteplici, soprattutto per il fatto che non si tratta solamente di una festa cristiana. Festa ricorrente fin dall’antichità, seppur in modalità diverse, da sempre rinnova la celebrazione della rinascita.
Una festa pagana
Tutto parte dal periodo in cui Pasqua viene celebrata. Seppur la data sia variabile, il momento cade più o meno sempre non lontano dall’equinozio di primavera, quando si hanno all’incirca le stesse ore di luce e di buio. Soprattutto nei paesi del Nord Europa, l’arrivo della luce è una vera e propria gioia. Le prime celebrazioni sembrano partire proprio da lì, come una sorta di festival spirituale in onore dei cicli della Terra e della Luna, così come della progressiva comparsa dei primi raccolti e dei fiori dopo l’inverno. La dea germanica venerata era Eostre o Ostara, dea della primavera e della fertilità. Nelle lingue germaniche, infatti, la parola Pasqua è tradotta come Easter in inglese e Ostern in tedesco. Con lei si conosce il simbolo del coniglio, suo animale devoto, simbolo anch’esso della primavera.
La Pasqua ebraica
Inizialmente, anche per gli Ebrei era legata all’attività agricola ed era la festa della raccolta dei primissimi frutti della campagna, cominciando dal frumento. In seguito, la Pasqua è diventa la celebrazione annuale della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù in Egitto, come si racconta nel secondo libro dell’Antico Testamento, l’Esodo. Qui si racconta inoltre il significato di un altro animale simbolo della Pasqua: l’agnello. In particolare, si riferisce a quando Dio annunciò al popolo di Israele che lo avrebbe liberato dalla schiavitù in Egitto dicendo “In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame”. Ordinò così di marcare le loro porte con del sangue d’agnello in modo che fosse in grado riconoscere chi colpire col suo castigo e chi no. L’agnello diventa quindi un segno di salvezza dal male.
Il Cristianesimo e la Resurrezione
Il culto cristiano è legato alla devozione alla vita e alle opere di Gesù Cristo e come il Natale celebra la sua nascita, la Pasqua rinnova la gioia della Resurrezione dopo la morte in croce. Il Venerdì Santo Gesù morì; dato che il sabato è il giorno di riposo ebraico, fu sepolto in maniera provvisoria al Sepolcro. Trascorsa la giornata, le donne tornarono dove Gesù era sepolto per terminare le operazioni; secondo i Vangeli, in quel momento un angelo aprì il masso che fungeva da porta e annunciò alle donne che Cristo era risorto.
I cristiani, dunque, ancora oggi celebrano la Resurrezione come uno degli eventi più importanti: la salvezza data dalla fede in Dio. Dopo due giorni di pianto e raccolta, la Domenica di Pasqua ogni anno è il simbolo della vita eterna in Paradiso.
La vita rappresentata dall’uovo
Il giorno di Pasqua non può essere considerato tale senza uova, di cioccolata ma anche di gallina, spesso rassodate e dipinte di colori vivaci. Questa tradizione risale nuovamente ai tempi dei primi Cristiani, che erano soliti dipingere le uova di rosso per ricordare il sangue di Cristo e le decoravano in vario modo.
La simbologia dell’uovo in realtà ha un’età ancora più antica: gli antichi Egizi, per esempio, lo consideravano il fulcro dei quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco); ancora, già i Persiani erano soliti scambiarsi uova. L’uovo è la cellula da cui poi nasce il pulcino, è l’involucro per antonomasia di una nuova vita che sta per nascere. Una curiosità sul tipico colore giallo con cui si è soliti dipingere le uova viene dalla Bulgaria: nel Paese si pensa infatti che il giallo porti salute.
La Pasqua come simbolo generale di rinascita
A seconda delle tradizioni religiose, l’avvenimento della Pasqua viene sempre legato a varie interpretazioni della rinascita in senso lato. D’altronde, il significato è già interiorizzato nella parola stessa: la parola Pasqua deriva dal greco pascha, a sua volta dall’aramaico pasah e significa “passare oltre”, quindi “passaggio”. Per i popoli germanici, rappresentava il passaggio dal freddo inverno, con la natura spoglia, alle nuove nascite nella calda primavera. Gli Ebrei, invece, ricordano il passaggio del popolo attraverso il Mar Rosso per fuggire dalla schiavitù in Egitto. Mentre i Cristiani la collegano al passaggio di Gesù, e quindi di tutti i cristiani, dalla vita terrena alla morte, fino alla rinascita a una vita nei Cieli.
La storia del paradosso ha una lunga tradizione che inizia nell’antichità, con Zenone di Elea nel V secolo a.C., coi suoi paradossi contro la molteplicità e contro il movimento (il paradosso di Achille e la tartaruga o della freccia). Nel corso dei secoli molti filosofi e pensatori hanno utilizzato i paradossi nelle loro argomentazioni fino al pensiero moderno con il filosofo Bertrand Russel e il suo paradosso del barbiere sopra citato e da lui usato nello studio della teoria degli insiemi e della gerarchia dei diversi tipi. Lo studio di Russell, infatti, mise in luce alcune contraddizioni della matematica racchiuse nella sua antinomia che: “l’insieme di tuti gli insiemi che non appartengono a sé stessi appartiene a sé stesso se e solo se non appartiene a sé stesso”, come appunto lui esemplifica nel paradosso del barbiere.
In conclusione, estremizzare la realtà nel paradosso ci può aiutare ad intraprendere delle strade di risoluzione o perlomeno di ricerca di risposte e di validazione di alcune teorie di cui è costellata la nostra storia del pensiero. Attraverso la tensione tra ragione ed esperienza, che trova la sua applicazione nella contraddizione come condizione ineliminabile dell’esistenza, il paradosso, senza trascinarci in un buco nero concettuale può diventare un’affascinante terreno d’esplorazione filosofica.
FONTI:
Piergiorgio Odifreddi, C’era una volta un paradosso, Einaudi, Torino, 2004.
Nicholas Falletta, Il libro dei paradossi, Longanesi, Milano, 2005.
Franca D’agostini, Paradossi, Carocci editore, Roma, 2009.
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Il paradosso come stimolo e provocazione per uscire dalla logica dell’opinione comune e per argomentare su verità apparenti e finzioni. Immerso nella realtà quotidiana, il paradosso ci circonda e ci investe non solo nella sua dimensione percettiva e sensoriale ma soprattutto in quella dell’immaginazione concettual