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Un’operetta morale al mese: marzo è “Elogio degli uccelli”

Marzo: il padre della primavera e dei ciliegi in fiore. Il mese nel quale gli uccellini sembrano volteggiare tra le nuvole con una gioia più intensa che mai, come se le brutture della terraferma non potessero minimamente sfiorarli o influenzare il loro stato di felicità. Lo stesso, ahimè, non può dirsi per l’uomo: la sua predisposizione a gioire delle piccole cose non è mai stata particolarmente spiccata, ma da un anno a questa parte qualcosa è cambiato. L’operetta che ci accompagnerà in questo marzo di tragedia in fiore è Elogio degli uccelli.

Che cos’è un’Operetta morale?

Le Operette morali sono ventiquattro brevi dialoghi e novelle moraleggianti che ospitano creature immaginarie come gnomi e folletti, personaggi illustri come Tasso o Copernico, oppure allegorie naturali come la Morte, la Luna e il Sole. La sorprendente modernità di questo capolavoro firmato Giacomo Leopardi risiede nella scelta dei temi e nel tono satirico con i quali sono trattati: il rapporto dell’uomo con il mondo, le sue relazioni con gli altri individui, la degradazione dell’epoca moderna e l’infelicità.

Elogio degli uccelli è la diciassettesima operetta della raccolta, nella quale il solitario Amelio – nuovo travestimento leopardiano – ammira il temperamento degli uccelli, capaci di gioire della vita in modo autentico e disinteressato, indipendentemente dalla presenza di eventi eclatanti che li spingano a farlo. Questo lo induce a impugnare carta e penna e a buttar giù una serie di annotazioni che diverranno un vero e proprio elogio alla meravigliosa specie volatile.

A testimonianza della straordinaria attualità di cui Leopardi è promotore, basti notare che il suo desiderio di essere trasformato in un uccello è espresso, all’interno di questa operetta, tra il 1820 e il 1830. E non è forse nel 1990, oltre centosessanta anni dopo, che un pensiero assai similare viene messo in musica nientemeno che dal grande Lucio Dalla?

Vorrei girare il cielo come le rondini
E ogni tanto fermarmi qua e là
Aver il nido sotto i tetti al fresco dei portici
E come loro quando è la sera chiudere gli occhi con semplicità

(Lucio Dalla, “Le rondini”)

Gli uccelli sono descritti da Amelio come le creature più liete del mondo, perché godono di giocondità e letizia in misura molto maggiore rispetto a qualsiasi altra creatura. Il loro canto è simile al riso, un privilegio che soltanto l’uomo, in tutto il regno animale, possiede. Mentre tutte le altre specie – umana compresa – sono serie e gravi o addirittura malinconiche, gli uccelli dimostrano una speciale disposizione a provare godimento e gioia, per qualsiasi piccola grande cosa che li diletti.

Al dì sereno e placido, cantano più che all’oscuro e inquieto: nella tempesta si tacciono, e passata quella tornano fuori cantando e giocolando gli uni con gli altri. Usano di cantare in sulla mattina allo svegliarsi; […] si rallegrano sommamente delle vallette fertili, delle acque pure e lucenti, del paese bello.

Insomma, gli uccelli gioiscono per ogni dettaglio del mondo. I contemporanei di Leopardi, invece, hanno perduto questa inclinazione già da tempo, e un tale declino non ha potuto che intensificarsi nel corso dei secoli. Allo stupore del sorgere del sole all’alba, gli uomini civilizzati hanno progressivamente sostituito le lunghe dormite fino a tardi dopo una nottata di festa. Di sera non osservano più il cielo stellato ma guardano la televisione. Sono assuefatti al calore del sole sulla pelle e infastiditi dalle giornate di pioggia. Insomma, hanno imparato a dare per scontate cose per cui gli uccelli gioiscono ogni giorno. Ma forse ultimamente alcuni di loro – dire tutti sarebbe utopico – si sono resi conto dell’errore commesso. È proprio vero che si impara ad apprezzare qualcosa soltanto quando la si perde.

La gioia per le piccole cose: un’amica ritrovata

Era il 9 marzo 2020 quando l’ex premier Giuseppe Conte ha annunciato il lock-down totale in Italia. Da quel giorno, l’uomo contemporaneo è inevitabilmente mutato nel profondo.

Scuole e università chiuse fino a data da definirsi. Nuclei famigliari costretti a convivere negli stessi spazi – talvolta anche molto ristretti – per giorni, settimane, mesi interminabili. Attività lavorative sospese. Famiglie economicamente ridotte allo stremo. Lock-down prima, coprifuoco ora. Queste sono soltanto alcune delle misure preventive messe in atto dallo Stato italiano per contenere l’avanzata del Coronavirus; disposizioni necessarie per evitare che altre migliaia di vite vengano stroncate da un virus invisibile, eppure così tragicamente letale. Lo scorso 18 marzo è stata celebrata la prima Giornata nazionale in memoria delle vittime del Coronavirus, che solo in Italia sono state oltre 103 mila fino ad oggi.

È così che l’uomo ha visto strappato via da sé l’arbitrio di fare tutte quelle piccole cose che per lui rappresentavano la normalità. Cose che ha sempre dato per scontate, e che ora scontate non sono più. Oggi, ad esempio, la possibilità di pranzare al ristorante in compagnia di una persona cara appare come un’occasione preziosissima, capace di colorare una monotona giornata grigia di tinture vivaci e brillanti. Certo, non avrebbe dovuto essere una pandemia a rendere così lampante la constatazione che nulla fosse rimasto, a noi uomini, del valore della semplicità prima di questa tragedia, di quella capacità pura e trasparente che hanno gli uccelli di gioire delle cose più genuine. Ma così è stato, e va riconosciuto. Siamo abituati a vedere soltanto il lato oscuro di un brutto periodo: ma persino la medaglia più triste (quella di partecipazione, ad esempio) ha sempre due facce.

In questa nuova primavera, forse alcuni di noi potranno dire di aver ricominciato ad apprezzare anche le piccole cose. Una passeggiata all’aria aperta, la colazione su una panchina, una giornata di sole (specialmente in zona gialla). Quando si tornerà alla “normalità” – quella routine caotica e assembrata tipica della vita quotidiana -, forse qualcuno non darà più per scontate le domeniche al cinema, le lezioni in università, gli allenamenti in piscina anche quando si è stanchissimi. Non tutti, certo, perché è innegabile che questa pandemia abbia alimentato anche tanta indifferenza (se non vera e propria cattiveria). Ma se qualcuno avrà imparato ad amare un po’ di più, significa che forse qualcosa di positivo, nella tragedia, c’è stato. E va portato a galla.


FONTI

Corriere.it

Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di Laura Melosi, Bur, 2008

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