Il colpo di stato e la crisi democratica in Birmania

Il portavoce della Lega Nazionale per la Democrazia al governo ha comunicato che la leader Aung San Suu Kyi e altri esponenti del partito al governo sono stati arrestati durante il colpo di stato organizzato dalle forze armate.

Come si è arrivati al colpo di stato

Innanzitutto è fondamentale rispolverare la storia della Birmania e il ruolo preponderante dell’esercito in questa. Sin dalla lotta contro l’occupazione giapponese, fino all’indipendenza dalla dominazione britannica, guidata dal generale Aung San, padre di Aung San Suu Kyi, ucciso alla vigilia dell’indipendenza da un tentativo fallito di golpe militare, le forze armate sono sempre state al centro dell’attenzione.

All’inizio del 1960, dopo un primo decennio di democrazia, l’esercito birmano ha preso in mano la gestione del Paese. Il “Tatmadaw”, ossia le forze armate, hanno giustificato il loro regime dittatoriale affermando che fosse necessario per mantenere l’unità del Paese, messa in pericolo dalla presenza di numerose comunità etniche molto diverse in Birmania, le quali hanno sempre chiesto una certa indipendenza.

Nonostante la repressione militare, l’opposizione democratica non ha mai smesso di esprimersi manifestatamente, ma ogni volta i militari hanno spento la rivoluzione ancora prima che potesse espandersi. Prendiamo il biennio 1988-90, quando gli studenti hanno guidato il movimento di protesta che portò alle libere elezioni vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia guidata da Suu Kyi. La vittoria è stata in quel caso soffocata immediatamente dall’esercito e la stessa Suu Kyi è stata rinchiusa in totale isolamento nella sua casa per 19 anni.

Nel 2011 lo stesso esercito ha messo fine a circa cinquant’anni di regime militare e ha inaugurato un governo civile. In realtà, l’esercito ha cercato comunque di mantenere il proprio potere, escludendo dal governo la più importante attivista per la democrazia, Aung San Suu Kyi, e consegnando il Paese a un partito fedele alle forze armate.

 

La svolta è giunta nel 2016, dopo la vittoria elettorale della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, a cui l’esercito ha concesso di formare un Governo, mantenendo per sè un consistente potere sulla politica birmana.

Dal 2016 è iniziata una transizione che via via ha portato alla liberazione di tutti i prigionieri politici, ha abolito ogni forma di censura, ha adottato una legislazione democratica, ha aperto il Paese agli investimenti stranieri, ha concluso accordi di pacificazione e autonomia con le frange armate delle minoranze etniche.

Allo stesso tempo, la transizione ha riconosciuto un ruolo primario ai militari, conferendo loro importanti posizionni di potere: la Difesa, l’ordine interno e la tutela dell’unità del Paese. L’esercito ha gestito brutalmente questi incarichi, come nel caso della repressione attuata ai danni della minoranza musulmana dei Rohingya, un atto che ha messo Suu Kyi in grave difficoltà di fronte al popolo birmano e alla comunità internazionale, dato che ha dovuto coprire i crimini commessi dall’esercito in un’operazione di vera e propria pulizia etnica. Più di 600.000 Rohingya sono dovuti emigrare in Bangladesh, mentre l’esercito sparava colpi di mortaio contro i civili in fuga.

Nonostante ciò, il partito di Suu Kyi ha mantenuto un forte consenso popolare, dimostrato dai risultati delle elezioni dello scorso novembre, che hanno confermato una larga maggioranza ala LND. La Lega Nazionale per la Democrazia ha ottenuto il 61.6% dei voti, mentre il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dei militari ha ricevuto solo il 3.1%. Purtroppo il voto non ha soddisfatto le forze armate e così la Birmania si ritrova sotto l’ennesima dittatura.

Il colpo di stato 

Il voto dello scorso novembre era stato visto da molti come un referendum sul governo di Aung Saan Suu Kyi, al potere dal 2016. La vittoria schiacciante di Suu Kyi ha portato il principale partito d’opposizione, sostenuto dai militari, a parlare di brogli. Nonostante osservatori indipendenti abbiano dichiarato che gli elettori sono stati “in grado di esprimere liberamente la loro volontà ai seggi e di scegliere i loro rappresentanti eletti”, l’esercito ha continuato a denunciare diffuse irregolarità.

In seguito al rifiuto delle corti di procedere con nuove elezioni per mancanza di prove, le forze armate hanno attuato il colpo di stato. La leader potrebbe restare agli arresti anche per due anni e mezzo, secondo Associated Press, con l’accusa di essere in possesso di dispositivi radio illegali (si tratterebbe di walkie-talkie importati illegalmente). Per ora si trova in detenzione preventiva fino al 15 febbraio.

Il 1° febbraio l’esercito ha rovesciato il governo eletto, arrestando Suu Kyi, per poi dichiarare lo stato d’emergenza per un anno. I soldati, schierati nelle strade della capitale, Naypyidaw, e della città principale, Yangon, hanno creato dei posti di blocco sulle arterie principali.

Successivamente, l’esercito ha nominato presidente ad interim l’ex generale Myint Swe, il quale ha dichiarato che il colpo di Stato militare che ha rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi è stato costituzionale. Swe ha sostenuto la tesi dell’esercito secondo cui San Suu Kyi avrebbe attuato frodi per vincere le ultime elezioni, un “tentativo di usurpare la sovranità statale tramite mezzi illegali” che ha reso quindi necessario che il vicepresidente dichiasse lo stato d’emergenza e cedesse tutto il potere al comandante in capo Min Aung Hlaing.

Le proteste successive al colpo di stato

In Myanmar il popolo si sta schierando contro il colpo di stato militare. Le strade di Yangon si sono riempite del suono di pentole e padelle sbattute dalle finestre delle case in segno di protesta dai cittadini che rimarcano il loro sostegno al governo democratico.

Secondo la tradizione birmana, sbattere pentole e padelle serve a scacciare gli spiriti maligni dalla propria casa. Nel 1988 il clangore metallico risuonò contro il generale Sein Lwin, il quale aveva ordinato di sparare contro i manifestanti pro-democrazia, e lo stesso avvenne di nuovo nel 2007, quando i monaci buddisti protestarono per porre fine a un altro regime militare. Nella notte di martedì 2 febbraio le pentole sono tornate a farsi sentire come segno di dissenso verso il nuovo colpo di stato.

Inoltre, il personale di 70 ospedali in tutto il Paese è entrato in sciopero, rifiutandosi di lavorare per la dittatura militare.

Diverse associazioni stanno incitando alle proteste e chiedono l’immediata scarcerazione dei leader arrestati, tra cui alcuni capi del movimento studentesco birmano. Ad esempio, sulla pagina Facebook dello Yangon Youth Network, si legge un post che invita alla protesta: “La disobbedienza civile è importante in questo momento e chiediamo che altre organizzazioni si uniscano a noi”.

 

Le proteste sono continuate anche venerdì 5 febbraio, quando centinaia di insegnanti e studenti dell’università di Yangon hanno manifestato indossando un fiocco rosso, sventolando striscioni rossi, facendo il saluto a tre dita e cantando cori in onore di Aung San Suu Kyi. Le proteste sono state organizzate nonostante la giunta militare abbia limitato l’accesso a Facebook, Instagram e WhatsApp nel tentativo di contenere il dissenso. Secondo la BBC molte persone starebbero usando altre piattaforme, come Twitter, per comunicare e coordinare le attività di protesta.

Le reazioni del mondo al colpo di stato

I ministri degli Esteri di Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito, nel contesto del G7, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta a sostegno del regime democratico e di sostegno alla popolazione del Myanmar. Dagli Stati Uniti, il presidente Joe Biden ha dichiarato che studierà “immediatamente la possibilità di ripristinare le sanzioni” al Myanmar, in vigore fino al 2011, e che ricorrerà a “un’azione appropriata” contro i militari golpisti. Anche l’Unione Europea ha rilasciato una dichiarazione ufficiale congiunta, tramite l’Alto rappresentante agli affari esteri, Josep Borrell, in cui si legge che l’Unione “condanna con la massima fermezza il colpo di stato perpetrato in Myanmar”.

 

Queste dichiarazioni vanno a creare nuove tensioni tra il blocco occidentale e la Cina, la quale ha posto il veto alla risoluzione di condanna proposta dalle Nazioni Unite in una sessione straordinaria. L’obiettivo di Pechino è probabilmente quello di stringere accordi commerciali con i militari e ridurre l’influenza statunitense in Birmania.

Nel mentre, la Lega Nazionale per la Democrazia, e altri attivisti, hanno fatto appello ai cittadini per una campagna di disobbedienza civile per opporsi al rovesciamento del governo da parte dei militari.

Esorto la popolazione a non accettarlo, a rispondere e a protestare con tutto il cuore contro il colpo di stato

Questo ha affermato Suu Kyi in una dichiarazione diffusa dal suo partito.

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