L’italiano: un’arma contro l’analfabetismo del futuro

Secondo il celebre linguista Tullio De Mauro, “il 70% degli italiani non capisce quello che legge”: oggi quasi 7 italiani su 10 hanno difficoltà nella comprensione di testi scritti, mentre 5 milioni di italiani non sono neppure in grado di accedere alla lettura. Questo quadro coinvolge soprattutto le persone che vivono in zone o famiglie socialmente e culturalmente svantaggiate (in cui il tasso di analfabetismo è alto), o chi frequenta determinate tipologie di scuola (il divario tra licei e istituti professionali è abissale).

Quando si tratta di scuola, sembra di assistere ad un paradosso. Più l’umanità progredisce, più il disinteresse si fa consistente. D’altronde, quanti studenti al giorno d’oggi possono dirsi realmente interessati alla monolitica grammatica tradizionale, con il suo (tra)passato remoto e tutte quelle astruse subordinate? Eppure, la lingua italiana è fondamentale. Rappresenta il frutto di un’evoluzione lunghissima, di tutti gli idiomi e i dialetti masticati prima di noi. La lingua è lo strumento con il quale ci si esprime e si espone se stessi al mondo, ed è triste che – citando ancora De Mauro – “solo il 30% della popolazione italiana sia in grado di orientarsi nella società contemporanea”.

A questo punto, è doveroso fare una premessa. Il fatto che al giorno d’oggi in Italia la conoscenza della lingua italiana rasenti il drammatico, non significa che in passato fossero tutti dottori in lettere. Spesso si pensa al 1300 (il secolo di Dante), al 1800 (Leopardi) o allo stesso 1900 (Montale), come i secoli dei grandi intellettuali, in cui anche il volgo parlava e scriveva un italiano perfettamente corretto. Nulla di più sbagliato. È sufficiente infatti prendere in esame i dati del passato, riguardanti la percentuale di persone non alfabetizzate, l’abbandono scolastico o la padronanza esclusiva del dialetto, per rendersi conto che i tempi d’oro del livellamento culturale non sono mai esistiti.

Questo desolante panorama umano si è sicuramente risollevato a partire dalla seconda metà del Novecento, dopo la quale l’italiano, da lingua elitaria padroneggiata da una ristrettissima fetta di popolazione, si è trasformato nel primo idioma quotidianamente parlato e scritto da quasi tutti gli italiani. Tuttavia, sebbene la percentuale di analfabeti funzionali sia oggi nettamente inferiore a quella del passato, non possiamo certo accontentarci di un così lieve miglioramento. La situazione attuale resta comunque drammatica.

Al giorno d’oggi, le domande di diplomati e laureati sono ingemmate di sgrammaticature. […] I giovani impiegati non sanno scrivere senza strafalcioni le più semplici lettere d’affari.

Euclide Milano, “L’idioma d’Italia”

Dunque, la questione da affrontare non è tanto il presunto peggioramento quanto lo scarso progresso. L’istruzione e le competenze relative alla lingua continuano a sostare, nonostante i passi compiuti in più di mezzo secolo di evoluzione, ad un livello inaccettabile. Una percezione, questa, largamente condivisa dalla maggior parte dei professori, anche da coloro che insegnano materie diverse dall’italiano.

Insegno storia, d’accordo, ma sono convinto che la corretta esposizione in italiano sia un elemento imprescindibile per la preparazione universitaria.

Marco De Nicolò, “Formazione. Una questione nazionale”

È lo stesso Marco De Nicolò a denunciare i gravi errori ortografici, di lessico o di sintassi, fin troppo frequenti nella maggioranza degli elaborati prodotti dagli studenti.

Nel XXI secolo, quello dell’insegnante può essere davvero un ruolo complesso e talvolta frustrante. Il volume di grammatica è vissuto dagli alunni come un mastodontico blocco di regole tediose e senza nessun appiglio con la vita reale. Come generare in loro, se non la passione per l’italiano, almeno una dose di attenzione sufficiente al suo apprendimento? Che cosa fare perché le nuove generazioni comprendano che lo studio della lingua italiana è essenziale per una società solida ed efficiente?

Il mondo è cambiato: in ogni campo del sapere vengono continuamente esplorati nuovi territori e proposte soluzioni innovative. Lo stesso deve accadere anche con l’italiano. I vecchi manuali vanno revisionati ed attualizzati, i metodi e i contenuti aggiornati. Al giorno d’oggi disponiamo di quotidiani telematici, di iniziative editoriali, di gruppi di intervento e studio nel campo dell’educazione: metodi nuovi con i quali almeno tentare un approccio più fresco con gli studenti. A questo scopo, un ruolo fondamentale, se utilizzato con cognizione di causa, può essere giocato anche dalla rete. Essa rende facilmente fruibili non solo video di convegni e interventi, ma anche libri o saggi che un tempo sarebbero stati consultabili soltanto in biblioteca. Insomma, qualsiasi soluzione è ben accetta, purché permetta alla lingua italiana di essere appresa e padroneggiata in modo corretto e consapevole.

Persino gli economisti di tutto il mondo ripetono instancabilmente quanto l’analfabetismo incida negativamente sulle capacità produttive ed economiche dei vari Paesi. Come si può pensare di risolvere, ad esempio, il grave ristagno economico che affligge l’Italia da ormai decenni, con un futuro governo di sgrammaticati?

La lingua, l’istruzione e la cultura sono elementi imprescindibili in un mondo in costante evoluzione. Sono proprio questi a plasmare le menti del futuro, quelle che un giorno prenderanno decisioni per noi e per i nostri figli. Noi stessi – perché no? – potremmo essere quelle menti. E anche la mente, si sa, ha bisogno di nutrimento per produrre idee. Lo sosteneva strenuamente anche Umberto Eco, che contro l’analfabetismo funzionale si è battuto per tutta la vita.

Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Dovrebbero preoccuparsi solo coloro che di libri non ne leggono mai. Ma proprio per questa ragione essi sono gli unici che non avranno mai preoccupazioni di questo genere.

E’ l’augurio di tutti (o almeno dovrebbe) che l’Italia del futuro sia governata da persone istruite e competenti, oltre che alfabetizzate. Ma il futuro si costruisce oggi, tra i banchi di scuola. Più in fretta lo si comprende, meno irreparabili saranno gli errori del domani.

FONTI

Giuseppe Antonelli, Non portate a scuola l’italiano di una volta, La Lettura – Corriere della sera, 13/09/20

Euclide Carlo Milano, L’idioma d’Italia, SEI, 1948.

Umberto Eco, La bustina di Minerva, Bompiani, 2000.

ilmessaggero.it

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