La lunga storia della salvaguardia del patrimonio artistico

Secondo le stime dell’UNESCO, l’Italia possiede il 72% del patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e ambientale del mondo. Si potrebbe parlare di un Paese che è un museo a cielo aperto. Nonostante ciò, come spesso ci informano i giornali e i media, alcuni siti vengono abbandonati a se stessi, rischiando così la loro rovina. Per questi motivi sono nate sia numerose Associazioni e Fondazioni, come il Fai (Fondo Ambiente Italiano), sia numerose leggi che formano un corpus normativo sulla Tutela e la Conservazione del Patrimonio storico e artistico.

Queste norme e leggi sono state istituite già a partire dal XVIII secolo,  momento storico in cui la crescente dispersione delle opere d’arte derivante dal fiorente collezionismo e dalla grande spoliazione da parte di Napoleone Bonaparte aveva portato a sancire una serie di decreti, editti e leggi a favore della tutela del patrimonio artistico.

Parigi come la Nuova Atene

L’incipit di questa storia può essere ricondotto a una frase pronunciata spesso da intellettuali e artisti di fine Settecento/inizio Ottocento:

I francesi non sono tutti ladri, ma Napoleone si.

Fu infatti proprio il famoso generale Napoleone Bonaparte ad attivare un trasloco vorticoso e continuo, che durò dal 1792 al 1815 e che vide coinvolti non solo l’Italia, che saccheggiò a più riprese, ma anche paesi come l’Egitto e i Paesi Bassi. Le opere non erano solo arti pittoriche o scultoree, ma anche beni archeologici, archivistici e librari, collezioni glittiche, numismatiche, naturali, mineralogiche e botaniche. Talvolta si verificarono anche atti di distruzione di opere, specialmente quelle provenienti da chiese, monasteri e demani pubblici che venivano fuse in cerca di oro e argento.

Fu proprio per quest’ultimo motivo che nell’agosto del 1794 Henri Grégoire, presbitero e politico francese, denunciò all’Assemblea Nazionale “le distruzioni operate dal vandalismo” e indicò la strada per impedirle, essendo le opere d’arte di proprietà della Nazione e dunque un dovere assoluto conservarle per il bene dell’intera comunità.

Jean-Louis David, autore di famosi dipinti come A Marat o Il giuramento degli Orazi, propose di istituire una Commissione per la tutela delle opere d’arte con il compito di stendere un programma a difesa dei beni culturali. Fu durante le animate discussioni tra i membri della Commissione che prese corpo l’idea di creare un grande Museo Universale nel Palazzo del Louvre, dove erano già stati portati i quadri fino ad allora conservati a Versailles. Attorno a questo nucleo sarebbe nato il Museo, che avrebbe dovuto contenere la più completa illustrazione della storia dell’arte universale, e quindi avrebbe dovuto far diventare Parigi “la nuova Atene”. Aumentarono di conseguenza i saccheggi legati alle campagne militari di Napoleone.

Moltissimi furono gli intellettuali che si volsero, con valide tesi, contro il furto napoleonico, primo fra tutti Quatremere, che difendeva l’ambiente culturale e fisico nel quale si trovavano le opere d’arte, il luogo in cui erano nate, senza il quale esse avrebbero perso il loro valore.

Antonio Canova Ispettore delle Belle Arti

Il sogno Napoleonico, però, fallì proprio nel 1815 quando Antonio Canova, scultore e Ispettore Generale alle Belle Arti, si presentò più volte alla corte Francese, mandato da Papa Pio VII Chiaramonti, per richiedere indietro tutte le opere che erano state tolte allo Stato Italiano e non solo. Da questo momento, se da una parte finiva l’idea della Nuova Atene, dall’altra nasceva una prima forma di Legislazione dei Beni Culturali.

Fu da questo momento ad esempio che Pio VII proibì ogni ulteriore esportazione della antichità dello Stato: ogni vendita poteva avvenire solo all’interno di Roma. Inoltre, proibì di danneggiare le preziose testimonianze di età romana e di servirsi dei loro materiali per le nuove costruzioni. Infine nacque il censimento delle opere d’arte , dove erano riportate tutte le opere di collezioni private .

A favore di queste leggi era Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy, come testimoniano le Lettere a Miranda, nelle quali si trova la preghiera di impedire le spoliazioni e la dispersione del patrimonio storico-artistico dalle terre conquistate dai francesi. Queste lettere contengono molti elementi di avanguardia, e presentano ancora oggi affinità con le necessità legislative e culturali attuali.

Editto Pacca

La corsa alla salvaguardia ebbe una svolta di rilievo con il successivo Editto Pacca. Esso mirò al consolidamento delle norme in campo di conservazione del patrimonio archeologico e artistico di Roma e dello Stato Pontificio. Si giunse così all’organizzazione del servizio amministrativo competente per esplorare il patrimonio artistico dello Stato e vigilarlo, con la presenza della Commissione di Belle Arti al fianco del Camerlengo, in modo che essi potessero cooperare all’esecuzione della legge, al restauro e alla conservazione dei monumenti pubblici di pregio. Infine si giunse alla presenza di Commissioni Ausiliarie in sostituzione di quella di Belle Arti nelle Legazioni e Delegazioni: a queste era affidato il patrimonio artistico e archeologico dello Stato.

patrimonio artistico

Tutto questo ha avuto un risvolto nei secoli successivi?

Nell’Ottocento, non a caso, vi furono una serie di interventi come l’introduzione della catalogazione, ovvero l’intervento della tutela pubblica là dove la tutela privata non aveva avuto efficacia (tramite l’esproprio). Ricordiamo poi l’introduzione nel Novecento della Legge Rosadi, che consisteva in un corpus normativo più complesso, in cui si disponeva la notifica dell’importante interesse del bene e l’introduzione del limite minimo di età per dichiarare l’interesse culturale del bene (50 anni). Si affiancò poi, il 1 giugno 1913, un regolamento tuttora in vigore: il Regio Decreto n.363. Nel 1912 si approvò infatti la tutela di ville e parchi di interesse e nel 1923 venne redatto un catalogo ricognitivo fino ad arrivare al 1937, anno in cui si istituì la tassa per l’esportazione dei beni.

La tutela oggi

L’attenzione al patrimonio artistico e culturale è pervenuta fino ai nostri giorni, nonostante vi siano ancora notevoli problemi irrisolti. Molto spesso, infatti, tante sculture presenti nelle nostre piazze, nei giardini, davanti alle cattedrali, sono oggetto di azioni vandaliche, come scritte o addirittura danni e lesioni. Lo stesso problema presentano anche gli edifici architettonici. Per alcune opere d’arte corrose dall’azione del tempo, non vengono purtroppo presi in considerazione interventi di restauro, e si corre il rischio di perdere per sempre tante di queste meraviglie.

Un esempio è il murales di William Kentridge, sul Lungotevere a Roma, lungo 550 metri: esso racchiude tutta la storia di Roma in ottanta figure, ma rischia di rimanere soltanto un ricordo per quei pochi fortunatissimi che hanno potuto ammirarlo finora. Il murales, infatti, è stato realizzato mediante un procedimento di pulitura della patina biologica, dello smog e della sporcizia accumulati sul marmo dei muraglioni. Quindi, una volta ricreatosi lo sporco, le immagini scompariranno.

Ma il murales di Kentridge non è l’unica opera d’arte o bene artistico che rischia di scomparire. Molte altre opere hanno fatto e faranno fine ben peggiore se gli organi di competenza non prenderanno in mano la situazione. Bisogna promulgare provvedimenti a favore della salvaguardia di quella che è la nostra carta d’identità, come la chiama il professor Tomaso Montanari.


 

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