L’evoluzione del concetto di qualità: filosofia aziendale o modello di produzione?

A lungo, il termine “qualità” è stato automaticamente abbinato al termine “controllo”. Ma parlare di qualità in termini di mero controllo sarebbe assolutamente riduttivo, dato che il controllo è solo una delle sfaccettature della qualità stessa. Il concetto è alquanto elastico, dato che si modella a seconda dei contesti socio-economici. In estrema sintesi, si potrebbe affermare che la qualità sia il frutto della dialettica di due importanti temi:

  • la qualità oggettiva, intesa come le caratteristiche intrinseche del bene, conformi a delle specifiche predefinite;
  • la qualità soggettiva, ovvero la valutazione in mano all’utilizzatore.

A confermarlo sono i cosiddetti “guru” della materia, quali J.M. Juran, A.V. Feigenbaum e W.E. Deming.

Come già anticipato il concetto di qualità si evolve in relazione all’epoca di riferimento. Ad esempio, nel periodo preindustriale, dove la produzione era artigianale, la qualità oggettiva coincideva con quella soggettiva. Ma con l’avvento della Rivoluzione Industriale e con la nascita delle prime industrie, sono nati quei modelli organizzativi complessi che non permettevano sfoghi alle capacità manuali o creative dei lavoratori. Al contrario, le attività di Ford e di Taylor portarono alla nascita della cosiddetta “produzione di massa”, fino alla dissoluzione del volto del singolo cliente, che finiva con il confondersi nella massa.

Ed è in questo momento che “qualità” diventa “controllo”. Il motivo è molto semplice. In un contesto quale il seguente, in cui ciò che conta è l’organizzazione della produzione, la qualità soggettiva deve svanire, affinché il prodotto riesca a soddisfare un numero maggiore di utenti. Il consumatore non chiede più la qualità, non interferisce con il suoi gusti sulla produzione, ma pretende solo la sicurezza di poter disporre fisicamente dei beni di suo interesse.

qualità

Un controllo che avviene per mezzo di diverse figure:

  • l’ispettore, il quale ispeziona o per meglio dire “collauda” il prodotto, interessandosi esclusivamente del prodotto in sé per sé;
  • segue negli anni Venti un nuovo approccio, quello del controllo a campione. In un certo senso, abbracciando l’analisi statistica dei difetti, si vuole accettare una certa “soglia di tolleranza”. Quest’ultima è la consapevolezza che sia possibile mantenere la qualità fissa ad un certo livello, pur restando un certo livello di difettosità;
  • ma è solo dopo il 1945, in America, che si può parlare di “assicurazione esterna della qualità”. Mentre all’inizio gli standard di qualità venivano fissati dall’organizzazione, in questo momento sono fissati dalle altre organizzazioni;
  • infine, per un’armonizzazione a livello interazione delle norme, nel 1987 viene realizzata la International Organization for Standardization (ISO o ISO9000).

Ma nel caso in cui decidessimo di spostarci di mercato? Partiamo, andiamo in Giappone, nel mercato giapponese. C’è ora da chiedersi se il concetto di qualità sia subordinato al luogo geografico, e non solo al momento storico. Il Giappone non possiede risorse naturali, è quindi destinato ad una produzione manifatturiera. In mancanza di uno sviluppo tecnologico tale da reggere il confronto con i mercati occidentali, il mercato nipponico decide di abbracciare la strada della qualità (elevate performances dei prodotti con un prezzo fortemente competitivo). Si formano così importanti associazioni nazionali giapponesi, tra cui JUSE (Union of Japanese Scientists and Engineers), fondata nel 1946. La JUSE si propone come obiettivo unico la diffusione delle nozioni fondamentali della qualità, in particolare modo per mezzo di seminari, quali quelli con Deming e Juran. E sarà quest’ultimo ad affermare il necessario bisogno di un approccio globale sul controllo della qualità.

Negli anni Settanta, in Giappone, il concetto di qualità confluisce nel Company Wide Quality Control, quale quell’insieme di attività sistematiche sviluppate dall’intera organizzazione per raggiungere efficientemente ed efficacemente gli obiettivi aziendali e la soddisfazione dei bisogni della clientela. La filosofia giapponese si riappropria pienamente del concetto di qualità soggettiva. Lo stesso approccio culturale fondante sulla cooperazione e la collaborazione imprime la struttura industriale. Nasce così il senso di appartenenza da parte dei singoli dipendenti. Mentre in occidente si punta al “Kairyo” (innovazione tecnologica), in Giappone si valorizza l’organizzazione presente, con i suoi processi e le persone, puntando ad un miglioramento a piccoli passi (Kaizen).

Si individuano così due importanti visioni della qualità (come afferma Noriaki Kano), uno riguardante il sistema occidentale e l’altro legato a quello orientale. Per quanto concerne il sistema americano, dato che la competitività viene massimizzata dagli investimenti in termini di innovazione, la qualità viene garantita dalla controllo interno ed esterno e dal valore aggiunto. Mentre in Giappone la filosofia è totalmente differente, il bisogno di attendere alle esigenze del cliente, così anche di migliorarsi, spingono le industrie verso una massimizzazione del valore in termini di eliminazione delle criticità.

La qualità non è, non può essere, quantità. E’ un processo lento, step by step, che prevede la totale partecipazione da parte di tutto il personale. E questo non solo in Giappone, ma nello stesso Occidente, dove gli insegnamenti dell’Oriente sono stati assorbiti nel Total Quality Management. Una gestione della qualità che non ignora più le esigenze del cliente, che sfrutta sì l’innovazione, ma si preoccupa di migliorarsi quotidianamente.

 


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FONTI

“Tecnologia e Produzione” E. Chiaccherini, CEDAM, 2012.

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