Deborah de Robertis: il femminile come forma d’arte

Nata nel 1984, Deborah de Robertis è una performer artist e fotografa lussemburghese di origini italiane. Forse poco conosciuta e piuttosto controversa, Deborah de Robertis fa parte di quella schiera di artiste che mettono in campo la propria femminilità. Letteralmente fonda il proprio gesto artistico sul corpo e, in particolare, sulla sessualità. Così impiega il più delle volte i propri genitali in nome della libertà sessuale, talvolta ancora sottoposta a luoghi comuni e discriminazioni, soprattutto quando declinata al femminile. 

Deborah De Robertis

Tra le performance più note dell’artista lussemburghese, quella che ha destato maggiore scandalo, attirando l’attenzione dei media, è stata nel 2014 al Musèe d’Orsay di Parigi. L’artista, sulle note dell’Ave Maria di Schubert, si è messa seduta davanti all’opera di Gustave Courbet L’origine du monde, divaricando le gambe e mostrando i genitali. Sullo sfondo, la sua voce pre-registrata ripeteva:

Je suis l’origine / Je suis toutes les femmes / Tu ne m’as pas vue / Je veux que tu me reconnaisses / Vierge comme l’eau / Créatrice du sperme (Io sono l’origine/ io sono tutte le donne/ tu non mi hai mai visto/ Io voglio che tu mi riconosca / Vergine come l’acqua / creatrice di sperma).

E sempre al Musèe d’Orsay l’artista si è esibita posando nuda in una performance dal gusto ottocentesco. La sua citazione è questa volta a una grandissima opera dell’Impressionismo francese – conservata sempre al Musèe d’Orsay – ovvero Olympia. Si tratta del celebre dipinto realizzato da Manet nel 1863 e che all’epoca generò tanto scandalo quanto quello generato dall’esibizione della performer lussemburghese.

Bisogna poi sottolineare che in entrambe le performance Deborah de Robertis è stata allontanata e arrestata con l’accusa di atti osceni in luogo pubblico ed esibizionismo sessuale.

Non solo Deborah de Robertis

Tutte queste performance sono state realizzate mettendo a completa disposizione la propria nudità, il proprio corpo, le proprie parti intime ai fini dell’arte. Ma non è qualcosa di completamente inedito. 

Anzi, si tratta di una modalità di espressione artistica già sperimentata da altre performer artist. Ad esempio l’artista slovacca/spagnola Milo Moiré la quale, come Deborah de Robertis, si è focalizzata sull’impiego dei genitali come strumento per veicolare la propria creatività. L’artista si è poi spesso posta in prima linea anche in difesa dei diritti delle donne. 

Tra le esibizioni più celebri e ricordate di Moiré vi è quella intitolata A birth of a picture (La nascita di un’immagine). La performance è avvenuta nel 2014 di fronte all’entrata della Fiera internazionale dell’arte di Colonia. Durante questa,  l’artista si è posta a gambe divaricate sopra una tela stesa sul terreno, cominciando ad espellere dalla propria vagina ovuli riempiti di pittura. Ha letteralmente partorito quindi un’opera – di carattere astratto – dai propri genitali.

Mera provocazione? 

Per comprendere come l’arte contemporanea si stia evolvendo oggi nelle sue varie ed eterogenee forme vale la pena soffermarsi su due opere. Quella di Deborah de Robertis in riferimento all’opera L’origine du monde e quella di Milo Moiré intitolata A birth of a picture. Sono due esibizioni relativamente diverse nel risultato finale, ma molto simili, se non quasi analoghe, nella prassi, nella procedura e nel mezzo con cui sono state realizzate. Sarebbe infatti un grosso errore, oltre che un’offesa, limitarsi a considerare superficialmente queste performance, attribuendo loro il mero appellativo di “atti di esibizionismo”.

Spesso accade di trovarsi davanti a esibizioni che possono destare scandalo o una certa diffidenza presso l’opinione pubblica. È necessario, però, approfondire il ragionamento e la critica che su di esse si può eseguire. Bisogna cercare di superare la mera spettacolarizzazione delle performance in questione ed entrare più in profondità nel significato intrinseco contenuto in esse.  E tutto questo con la finalità anzitutto di evitare giudizi banali e affrettati, ma sopratutto con l’obbiettivo di ampliare un po’ lo sguardo e l’analisi, al fine di comprendere verso quali orizzonti l’arte contemporanea si stia muovendo.

Si potrebbe pensare che queste due performance appaiano come atti e azioni di pura provocazione (comunque necessaria, spesso, per poter risvegliare le coscienze degli individui). In realtà sarebbe affrettato limitarsi a racchiuderle esclusivamente nella sfera dell’atto provocatorio. Vi è infatti, evidentemente, qualcosa di profondamente concettuale in queste performance, più di quanto si voglia pensare. 

Due diverse interpretazioni dell’omaggio di Deborah de Robertis a Courbet

Se si analizza con uno sguardo più critico e ragionato l’opera di Deborah de Robertis al Musèe d’Orsay, svariate sono le interpretazioni e i giudizi che si possono dare in merito.

Deborah De Robertis
Gustave Courbet, L’origine du monde, 1866, Musèe d’Orsay

Anzitutto si potrebbe benissimo interpretare l’atto artistico come  un gesto di potenziamento dell’opera originale di Gustave Courbet (datata 1866), vale a dire come un’azione volta a rafforzare il concetto dell’opera, trasponendo l’immagine statica contenuta nel quadro nella realtà e nella vitalità del corpo della performer.  In questo modo si dà ancora più rilievo all’opera stessa e al suo significato esplicito. Si punta, quindi, a porre l’attenzione su ciò che, di fatto, è l’origine del mondo, inteso come ciò da cui ogni esser umano proviene.

E di fatto Courbet era stato molto attento non solo a dotare l’immagine di uno straordinario realismo, ma sopratutto a conferirle un significato allegorico. Così il titolo L’origine du monde è volutamente esplicito, con l’intenzione di rendere il quadro una sorta di inno alla forza vivificatrice dell’eros nel suo binomio sessualità-vitalità.  

Ma se si volesse andare ancora più a fondo, si potrebbe interpretare questa performance in termini ancora più concettuali. Potrebbe essere infatti che Deborah de Robertis abbia voluto prendere in prestito l’immagine offerta da Courbet per realizzare un’opera tutta sua. In questo caso sarebbe  del tutto indipendente dal quadro, ma proprio grazie all’immagine offerta da esso potesse essere ricordata e riconoscibile. In questo senso, l’artista non avrebbe cercato di potenziare l’opera, bensì di appellarsi a essa in termini di citazione. Con il fine, poi, di veicolare un messaggio che non fosse necessariamente legato all’opera originale.

Il femminile come forma d’arte

Per quanto riguarda invece la performance di Milo Moiré, si tratta di un’esibizione molto diversa. È chiaro infatti che, a differenza dell’esibizione di Deborah de Robertis, non si tratta di una performance ispirata a un’opera già esistente, bensì di un’esibizione totalmente autonoma. Anche il risultato è diverso.

Nel caso della De Robertis si può dire non vi sia stato effettivamente un risultato, un traguardo. L’opera infatti consisteva nella performance stessa e dunque è nata e si è esaurita nell’esibizione stessa. Mentre invece, nel caso di A birth of a picture, si è giunti a un traguardo, poiché alla fine di tutta la performance l’artista ha realizzato un’opera finale, una tela dipinta. È certo che l’opera d’arte non consistesse nel risultato finale, bensì  nella procedura stessa con cui si è arrivati a essa.

A ogni modo, da entrambe le performance si può estrarre un elemento di similitudine, un aspetto che le connette inevitabilmente. Questo non consiste solo nello strumento artistico utilizzato, ma nella volontà esplicita delle due artiste di porre in risalto la femminilità creativa. Dietro a tutta la provocazione superficiale delle esibizioni vi è un substrato di significato molto intenso che pone l’accento sulla forza del femminile come elemento artistico.

Vi è dunque un atteggiamento decisamente narcisistico da parte delle due artiste. Queste, tramite il loro coinvolgimento totale nell’opera, non mirano tanto a trasmettere il messaggio noi siamo artiste donne, quanto invece noi donne siamo arte. 


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