Platone controcorrente: il femminismo nel V secolo a.C.

Sin dalle origini dell’umanità, la donna è sempre stata considerata, sotto molti aspetti, inferiore rispetto all’uomo. Naturalmente meno possenti e più gracili degli uomini, raramente alle donne era concesso di cacciare o di combattere in guerra. Questa differenza prettamente biologica si è progressivamente trasformata, nella mentalità umana, anche in un divario antropologico: se le donne erano più deboli nel corpo, lo erano di conseguenza anche nella mente. Ecco perché, per centinaia di anni, alla componente femminile non è stato concesso di partecipare alla sfera pubblica e politica della società. A tal proposito, vale sempre la pena ricordare che in Italia il diritto di voto è stato esteso alle donne soltanto nel 1946: oltre 200.000 anni di evoluzione umana. Tutt’oggi, diverse culture riconoscono alle donne capacità limitate soltanto alla procreazione e alla cura del nido famigliare.

Nel corso della storia, questa opprimente disparità di genere ha portato le donne a non tollerare più la loro subordinazione in ambito pubblico e politico. Le prime manifestazioni di rivendicazione femminile risalgono al XVII secolo: l’intento delle donne era quello di sradicare la divisione dei ruoli maschili da quelli femminili, mettendo in discussione l’attribuzione di valore sulla base del sesso. Così nacque quel movimento che oggi è noto con il nome di Femminismo.

Che cos’è il Femminismo?

Originariamente, il femminismo nasce appunto come un movimento sociale, politico e culturale mirato a rivendicare la parità di diritti tra uomini e donne. Con il tempo, poi, il termine ha assunto un significato via via più generale: si tratta della convinzione che il sesso non possa determinare automaticamente le capacità di un individuo. Il femminismo, cioè, predica la parità di genere.

Sembrerebbe, a questo punto, che prima del XVII secolo circa, il concetto di inferiorità femminile fosse radicato nella mentalità di ciascun individuo – maschio o femmina che fosse – accettato naturalmente come un fatto culturale. Eppure, voci di protesta si ergevano già dal V secolo a.C., e, eccezionalmente, non appartenevano solo a donne (come verrebbe più scontato credere): il filosofo Platone, infatti, ne costituisce un esempio lampante.

“La Repubblica” di Platone

Platone (427 – 347 a.C.), allievo di Socrate, è considerato il padre della filosofia occidentale. Di tutte le sue opere, La Repubblica è probabilmente il dialogo platonico dalla portata più grandiosa. Si tratta sostanzialmente di un testo politico nel quale Platone, partendo dalla nozione di giustizia, delinea la sua concezione di società ideale. Descrive, insomma, le caratteristiche che una città dovrebbe avere per essere moralmente giusta. A tal proposito, tra le tante argomentazioni elaborate nel corso dell’opera, Platone tocca anche il tema femminile. Egli infatti, nel V libro, sostiene che una città possa definirsi giusta soltanto nel momento in cui alle donne vengano riconosciute le stesse identiche capacità degli uomini. Il filosofo vuole dimostrare che la natura umana femminile è in grado di condividere praticamente tutti i compiti del genere maschile:

Non vi è, nell’ambito della gestione della città, alcuna occupazione che sia propria della donna perché è una donna, né dell’uomo perché è un uomo: le doti naturali sono parimenti disseminate in entrambe queste forme di vita.

(La Repubblica, V libro)

All’epoca di Platone, infatti, credenza diffusa era quella di ritenere che la natura delle donne fosse antropologicamente diversa da quella degli uomini: per questo motivo, esse venivano destinate a occupazioni differenti rispetto a quelle maschili (come la tessitura, la cucina o la cura della casa). Il mondo di Platone era radicalmente misogino, ma, nonostante ciò, egli nella Repubblica si chiede quale sia il criterio secondo il quale reputare i due generi tanto distanti. Il fatto che le donne possano procreare? Se davvero l’unica differenza è l’apparato riproduttivo,  è evidente quanto essa sia totalmente irrilevante per quanto riguarda le capacità in tutti gli altri ambiti.

Per Platone, infatti, la natura di un uomo e quella di una donna sono identiche: a cambiare nei vari individui è soltanto l’inclinazione. Una donna, ad esempio, può essere portata per la guerra nella medesima misura di un uomo. E’ vero che la percentuale di donne eccellenti nel combattimento è inferiore rispetto a quella degli uomini, ma questo non legittima in alcun modo l’esclusione dell’intera categoria femminile dalla guerra.

Ma anche ammettendo che le potenzialità degli uomini siano le stesse delle donne, come si può capire quale sia l’inclinazione di ciascuno? Se si è più portati, ad esempio, per la letteratura piuttosto che per la matematica? La risposta è semplice: con l’educazione. Ed è per questo motivo che alla donna deve essere offerto lo stesso livello di istruzione di un uomo.

Non c’è alcun dubbio: quello di Platone è un pensiero assolutamente rivoluzionario rispetto alla mentalità della sua epoca. Egli stesso affermava che questo suo progetto sarebbe stato considerato assurdo e ridicolo da molti suoi contemporanei. D’altronde, come sarebbe potuto essere diversamente? Le donne, secondo il pensiero corrente, erano buone soltanto a tessere e cucinare. Vederle imbracciare spada ed elmo avrebbe generato risate incontrollate. Eppure, se solo i contemporanei di Platone avessero potuto conoscere tutte le valorose donne-guerriero che, dopo di loro, si sono susseguite nel corso della storia, di certo i ridicoli si sarebbero sentiti loro. Ma almeno uno su un milione – Platone – ci aveva visto lungo.

Ridicolo è colui che ritiene ridicolo qualcosa che in realtà è un grande bene.

(La Repubblica, V libro)

Se, come sosteneva il filosofo Ralph Waldo Emerson, ‘’Platone è la filosofia, e la filosofia è Platone’’, un motivo ci sarà.

 

FONTI

La Repubblica, Platone, BUR Rizzoli, 2019.

treccani.it

filosofico.net

wikipedia.org

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