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Giorgio Ghiotti, “Gli occhi vuoti dei santi”: un millennial capace di comprendere il mondo

Sarebbe oltremodo riduttivo imprigionare l’opera di Giorgio Ghiotti nel contenitore indefinito della “letteratura dei millennials”. Certamente, la giovane età dello scrittore romano, classe 1994, è motivo di stupore, alla luce della produzione – già piuttosto vasta – e dell’ampio favore della critica, che già lo consacra come una delle voci letterarie più alte nel panorama nazionale. La sua raccolta di racconti Gli occhi vuoti dei santi, edita da Hacca nel 2019, dimostra chiaramente come anche gli scrittori “millennial”, soprattutto se del calibro di Ghiotti, meritino ormai un posto a pieno titolo al fianco dei colleghi delle precedenti generazioni.

ghiottiI dodici racconti che compongono Gli occhi vuoti dei santi parlano e non parlano della giovane generazione a cui lo scrittore appartiene: ovvero lo fanno, ma a modo loro e con una maturità tale da trascendere i limiti di tempo e le differenze d’età. Protagonista di alcuni racconti è un io narrante che ci illude di essere autobiografico, capace di registrare con concretezza e precisione i dettagli che lo circondano, di fermare nella propria narrazione piccoli e grandi momenti decisivi della vita. Molti dei personaggi di Ghiotti sembrano infatti sospesi su di un limite che vedrà le loro esistenze spezzarsi in un “prima” e un “dopo”: animano i racconti iniziazioni alla vita adulta, momenti di scoperta sentimentale e sessuale, menti candide di bambini che scoprono per la prima volta l’invidia e il rancore.

Sono, tra le altre cose, personaggi intenti a esplorare i ruoli che rivestono nella società e nella famiglia: si muovono all’interno di quelle etichette imposte sondandone i confini, scoprendone le falle e le vie di fuga. Fondamentale, dunque, è la riflessione sul rapporto tra figli e genitori. Ghiotti descrive con profondità gli intrecci di relazioni, aspettative mancate, risentimenti e sensi di colpa che costituiscono la complessa costruzione di ogni storia familiare. Così, leggiamo di un figlio che scopre le vite lontane dei propri genitori, realizzando con paura che in passato essi erano diversi, che vivevano vite che ancora lo escludevano:

Se avessero divorziato prima di me? Sarebbe stato un disastro, cioè sarebbe stato normale. Una normalità che mi avrebbe escluso. Qualcun altro avrebbe avuto i miei ricordi e questo mi è insopportabile. Intendo, anche solo pensare che sia esistito un tempo, prima della mia nascita, che non potrò mai recuperare, destinato a resistere solo nei brevi accenni che ne faceva lei e dei quali, come tutti i figli, sarei andato alla ricerca, costruendoli e indagandone il senso (dal racconto Elena Gigli).

Al tempo stesso, il complesso rapporto tra genitori e figli è narrato anche dal punto di vista opposto: Ghiotti è capace di dare voce a genitori incapaci di comprendere la lingua nuova dei propri figli, a madri stanche di essere soltanto madri:

Fu come ritrovarsi nella vecchia casa in cui l’aveva cresciuta, sentirsi chiamare «mamma» e non riconoscersi più in quelle sillabe. Innervosirsi, allora. E odiarsi per questo (dal racconto Il mattatoio).

Un’ulteriore componente di grande rilievo nei racconti che costituiscono la raccolta è la letteratura. “Ho dovuto aspettare che come sempre fosse la letteratura a venirmi in aiuto”, dice il narratore del racconto Mio padre, che apre il volume. La letteratura è in effetti una presenza costante nelle vite che costellano i dodici racconti: diventa quasi un’interlocutrice in Che cosa sono i padri, in cui le voci di altre scrittrici e scrittori (Natalia Ginzburg, Michela Murgia, per fare due esempi) si alternano a quella dell’autore sostenendolo nella sua riflessione. La letteratura si fa così uno strumento per comprendere il mondo, una lente capace di renderci sensibili a dettagli precedentemente trascurati, l’immensa enciclopedia in cui cercare le risposte alle proprie domande. L’amore per la letteratura, poi, diventa, in Il nostro Sur, motivo di un legame magico tra le persone, fonte di un linguaggio condiviso e segreto.

Nelle quasi duecento pagine de Gli occhi vuoti dei santi, dunque, Ghiotti riesce a tratteggiare psicologie complesse, donando concretezza e sorprendente naturalezza a quelle voci interiori ascoltate senza censure, scandagliandone i sentimenti inconfessati, passando persino attraverso i fulminei pensieri cattivi, gli attimi di fastidio, panico o illuminazione. Quella dello scrittore romano è dunque una prosa fortemente realistica e concreta, ma che, talvolta, si prende la libertà di lasciare spazio a un’ambiguità quasi onirica e a suggestioni fantastiche. Al tempo stesso, è una scrittura capace di grande eleganza e di un respiro poetico. La combinazione di questi elementi dona a Ghiotti una voce letteraria riconoscibile e senz’altro pienamente matura.

FONTI

G. Ghiotti, Gli occhi vuoti dei santi, Hacca, 2019

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