“Resoconto”: la decostruzione del romanzo di Rachel Cusk

La nostra cultura fonda le sue basi sulla tradizione orale. Aedi, cantori, miti, cosmogonie, leggende; tante sono le figure e le forme che hanno mutato le categorie dell’oralità. Si potrebbe persino affermare che la stessa storia umana sia un grande caleidoscopio permeato da narrazioni e conoscenze trasmesse per lo più oralmente.
Sebbene nella nostra mente e nei nostri ricordi scolastici sia Omero il cantore di storie epiche per eccellenza, il potere multiforme della parola si è modificato in vari momenti storici ed emerge anche nella nostra quotidianità.

Quante volte raccontiamo gli accadimenti della nostra vita durante le giornate? Quanti eventi vengono rielaborati e descritti nel nostro tran tran quotidiano? Capita spesso che la parola, plasmata dai ricordi e dalle emozioni, sia il veicolo principale dei nostri racconti di vita e faccia luce tra passato, presente e futuro. In modo naturale e quasi inconsapevole ogni giorno ci trasformiamo in cantori del nostro vissuto e intersechiamo la nostra percezione del mondo con quella di chi ci circonda.

Una storia può essere una semplice successione di eventi nei quali ci sentiamo coinvolti, ma sui quali non esercitiamo alcuna influenza.

Rachel Cusk con il suo “Resoconto”, primo romanzo di una trilogia (ancora non totalmente edita in Italia), apre proprio una porta a una grande riflessione sul potere polimorfo del racconto e della parola.
Molti critici hanno descritto l’opera come il segno della morte del romanzo, quasi come se la Cusk decostruisse la struttura classica della narrazione e portasse avanti micro-narrazioni, micro storie di personaggi eterogenei presentati in diversi capitoli.
Resoconto è quindi il titolo fedele per un libro che riduce all’osso le vicende: nulla accade concretamente all’interno di questo romanzo, eppure si ha la sensazione di scontrarsi con ricostruzioni interessanti (resoconti, per l’appunto) di storie di vita.

La trama è in effetti molto semplice. Sin dalle prime pagine il lettore fa la conoscenza di Faye, una scrittrice diretta ad Atene per tenere corso di scrittura creativa. Sarà la stessa scrittrice ad avere la voce del narratore per tutta la vicenda, ma di lei si conoscerà ben poco. Già dai primi incontri in aereo si viene infatti catapultati nelle storie di qualcun altro attraverso conversazioni episodiche. Non esiste dunque una vera narrazione. Pagina dopo pagina Faye si contagia delle storie altrui e continua il suo percorso ad Atene portando su di sé tracce di matrimoni, figli, divorzi, scrittori che riflettono sul potere salvifico o meno della scrittura. Non riflettiamo da lettori su temi particolari, non abbiamo racconti straordinari con cui confrontarci. Conosciamo solo sprazzi della vita di Angeliki, di Elena, di Ryan, di Melete e di tanti altri co-protagonisti di questo libro. Sono così tante le storie che si insinuano nelle orecchie e nel suo vissuto, che la stessa scrittrice sembra rifuggire in mare per purificarsi e disperdere tra noi lettori tutto ciò che ha assorbito nella quotidianità.

Tutto è minimale, semplice, conciso. Chi legge vive di fuggevoli incontri da elaborare.
In Resoconto, Rachel Cusk si trasforma in un’abile tessitrice pronta a mettere insieme tanti diversi gomitoli per una tela sfaccettata. Non esistono veri e propri dialoghi, tutto sembra raccontato dalla voce della narratrice che diventa cantore di una città. Faye è infatti una sorta di orecchio da cui vengono ascoltati e in cui risuonano, come una di quelle conchiglie che ricorda la risacca marina, i vissuti profondissimi delle donne e degli uomini incontrati, pronti a essere ricondivisi e diffusi attraverso il suo narrato.

Sembra anche interessante e ben ponderata la motivazione del viaggio di Faye: se, tra un racconto e l’altro, da un lato il lettore è colpito da numerose pallottole che deve interpretare e rimettere insieme, dall’altro il corso di scrittura creativa sembra dare pillole didascaliche e didattiche per riflettere sui concetti di storia e racconto.
Inoltre, nessuna esposizione rimane uguale a se stessa di pagina in pagina. La narratrice è un’attenta analista delle falle di percezione; Faye sottolinea a chi ascolta i cambiamenti e i mismatching e riorganizza le storie, evidenziando dunque quanto la realtà che viene raccontata dalla nostra bocca sia in fondo anche una costruzione sociale.

È difficile capire dal solo primo romanzo della trilogia se effettivamente Resoconto sancisca una nuova strada nella letteratura contemporanea. La totale assenza di trama e la freddezza che si percepisce pagina dopo pagina, intervallata da qualche guizzo profondo, può infatti far dubitare il lettore più affezionato alla classicità.
Ciò che è certo sin dall’inizio è che Rachel Cusk crei una forma spuria di narrazione, per certi versi atipica. Un modus narrandi che sembra anche frutto del nostro tempo, di una certa immaturità nelle relazioni e nell’approccio alla vita da adulti che spesso gli stessi millennials percepiscono sulla loro pelle.


 

FONTI

Rachel Cusk, Resoconto, Einaudi, 2018

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