Drag queen è un termine inglese per definire attori o cantanti (detti Drag singer) che si esibiscono in canti, imitazioni, cabaret e balli, indossando trucco e abiti femminili. Le donne che recitano in abiti maschili sono invece dette Drag king
Glitter, magia, piume, make up e spettacolarità: ecco cosa si apre nella mente umana quando si sente pronunciare il termine Drag queen. Oggi, grazie alle iniziative della comunità LGBTQI, la realtà delle Drag queen è riconosciuta nel mondo e riesce a lottare per ottenere libertà e diritti. Purtroppo, nonostante le lotte portate avanti da molte celebri personalità dello spettacolo, la tutela e l’inclusione delle Drag nella società non è sufficiente per emarginare la discriminazione e l’esclusione.
A quando risale la prima Drag queen della storia? Innanzitutto, il fenomeno Drag queen non è recente. Si hanno le prime testimonianze fin dal 1683, quando il re d’Inghilterra Carlo II, soprannominato “the merry monarch” (l’allegro monarca), concesse alle donne di recitare a teatro. Prima, a interpretare ruoli femminili erano gli uomini, che si travestivano da principali protagoniste delle opere teatrali e incantavano il pubblico con le recitazioni più sorprendenti di quel secolo. Da qui nasce il termine Drag queen, che per la comunità LGBTQI è legato a due teorie: dal verbo to drag (trascinare), in riferimento agli abiti trascinati sulla scena, oppure come acronimo di Dressed Resembling A Girl (vestito come una ragazza).
Dal Novecento l’omosessualità e le Drag queen saranno oggetto di esclusione da parte della società e l’amore tra persone dello stesso sesso sarà considerato un crimine. Tuttavia, il fenomeno Drag prese piede soprattutto nell’America degli anni del proibizionismo, dove in molti locali che si dedicavano alla vendita illegale di alcol si tenevano gli spettacoli delle dive del travestimento. Nacquero i Pansy Craze, party illegali organizzati nei locali notturni. Le radici dei Pansy Craze risalgono al 1869 ad Harlem: sono gli antenati dei balli in maschera dell’aristocrazia di New York. La città aveva già un certo numero di bar gay-friendly, tra cui Pfaff’s Beer Cellar e Slide, che il New York Evening World di Joseph Pulitzer definì “moralmente il locale più basso di New York, Parigi, Londra o Berlino”. Ma la popolarità di questi locali e di questi party era tale che negli anni Venti si registrò una partecipazione in media di circa 7000 persone di ogni colore e classe a ciascuno di questi eventi. Durante i party si eleggevano le Drag queen più belle e alla moda, infatti, tra le prime Drag queen che hanno riscosso successo si riconoscono Juliane Eltinge, Jean Malin e Karyl Norman (poi assassinata dalla polizia).
Le drag queen erano vere e proprie star e sorsero in ogni città europea e statunitense nonostante le violenze della polizia. Tuttavia, la situazione si inasprì durante gli anni della Seconda guerra mondiale: l’onta dell’omofobia forzò gli omosessuali a nascondersi, impedì alle Drag queen di emergere e furono imposte leggi come la three pieces rule, che imponeva di indossare tre capi di abbigliamento legati al genere sessuale di appartenenza per non essere arrestati.
A San Francisco, la notte di Halloween diventava l’occasione per infrangere la legge e cross-dresser e Drag ne approfittavano per popolare i luoghi di cruising: in mezzo a centinaia di persone in maschera per la festa era più facile farla franca, sfuggire ai controlli e trovare un partner, soprattutto occasionale e spesso a pagamento.
Dopo la seconda guerra mondiale la situazione peggiorò: discriminazione e violenza diedero a un radicale allontanamento e reclusione delle drag queen dalla società. La situazione iniziò a cambiare intorno agli anni Sessanta, quando la Drag queen Flawless Sabrina propose il documentario The Queen e iniziò a creare concorsi di bellezza per le Drag. Dagli anni Settanta in poi, con la rivolta e le proteste della comunità LGBTQI, anche le drag ritaglierono un proprio spazio nelle lotte, non certo lontane da critiche dalla comunità stessa. Il travestimento eccessivo delle Drag è visto come una forma di iperbole e di fatiscenza dalla comunità transgender, andando a confermare l’errata considerazione che si ha di loro:
Una dimostrazione della confusione sul significato dell’essere drag e dell’essere trans, come se le due cose potessero essere sovrapponibili. Come se un vestito e una performance definissero l’orientamento sessuale o il genere di un essere umano. Che il drag sia un’arte è fuori discussione, un’arte che tra l’altro non è più appannaggio dei soli uomini e non solo di uomini omosessuali: negli spettacoli, soprattutto a livello locale, faux e bio queen (donne vestite da donne) e drag kings (donne in abiti maschili) spopolano.
Nato nel 2009, il RuPaul’s Drag Race è diventato uno dei programmi più seguiti dalla storia. Il progetto nasce per mostrare al mondo chi sono le Drag queen, con la maschera e senza, chi sono gli uomini che intraprendono questa svolta, analizzando la loro storia, mettendo a nudo le debolezze, il carattere e l’anima di chi ama sentirsi vivo attraverso il glamour Drag. All’interno del programma, i partecipanti mettono in gioco la propria creatività, reinventando i costumi delle celebrities più amate, da Adele a Lady Gaga. Dalla trasmissione, RuPaul ha creato un vero e proprio manifesto per chi ha dovuto affrontare le difficoltà in famiglia, con gli amici, a lavoro e in generale di chi ha scelto di esprimere se stesso. Non mancano storie di bullismo, violenza e confusione per affermare un’identità che non riesce a stare nascosta nel profondo dell’Io. Kim Chi, Katya, Latrice Royale, Raven e Sasha Veloun sono solo alcune delle dive che RuPaul ha lanciato con il mantra “express and love yourself”. Accettazione, self-confidence ed espressione sono le chiavi del programma che ha lanciato numerose dive, dando uno smacco all’omofobia a colpi di glamour e brillantini.