Drag queen è un termine inglese per definire attori o cantanti (detti Drag singer) che si esibiscono in canti, imitazioni, cabaret e balli, indossando trucco e abiti femminili. Le donne che recitano in abiti maschili sono invece dette Drag king
Glitter, magia, piume, make up e spettacolarità: ecco cosa si apre nella mente umana quando si sente pronunciare il termine Drag queen. Oggi, grazie alle iniziative della comunità LGBTQI, la realtà delle Drag queen è riconosciuta nel mondo e riesce a lottare per ottenere libertà e diritti. Purtroppo, nonostante le lotte portate avanti da molte celebri personalità dello spettacolo, la tutela e l’inclusione delle Drag nella società non è sufficiente per emarginare la discriminazione e l’esclusione.
A quando risale la prima Drag queen della storia? Innanzitutto, il fenomeno Drag queen non è recente. Si hanno le prime testimonianze fin dal 1683, quando il re d’Inghilterra Carlo II, soprannominato “the merry monarch” (l’allegro monarca), concesse alle donne di recitare a teatro. Prima, a interpretare ruoli femminili erano gli uomini, che si travestivano da principali protagoniste delle opere teatrali e incantavano il pubblico con le recitazioni più sorprendenti di quel secolo. Da qui nasce il termine Drag queen, che per la comunità LGBTQI è legato a due teorie: dal verbo to drag (trascinare), in riferimento agli abiti trascinati sulla scena, oppure come acronimo di Dressed Resembling A Girl (vestito come una ragazza).
Le drag queen erano vere e proprie star e sorsero in ogni città europea e statunitense nonostante le violenze della polizia. Tuttavia, la situazione si inasprì durante gli anni della Seconda guerra mondiale: l’onta dell’omofobia forzò gli omosessuali a nascondersi, impedì alle Drag queen di emergere e furono imposte leggi come la three pieces rule, che imponeva di indossare tre capi di abbigliamento legati al genere sessuale di appartenenza per non essere arrestati.
A San Francisco, la notte di Halloween diventava l’occasione per infrangere la legge e cross-dresser e Drag ne approfittavano per popolare i luoghi di cruising: in mezzo a centinaia di persone in maschera per la festa era più facile farla franca, sfuggire ai controlli e trovare un partner, soprattutto occasionale e spesso a pagamento.
Dopo la seconda guerra mondiale la situazione peggiorò: discriminazione e violenza diedero a un radicale allontanamento e reclusione delle drag queen dalla società. La situazione iniziò a cambiare intorno agli anni Sessanta, quando la Drag queen Flawless Sabrina propose il documentario The Queen e iniziò a creare concorsi di bellezza per le Drag. Dagli anni Settanta in poi, con la rivolta e le proteste della comunità LGBTQI, anche le drag ritaglierono un proprio spazio nelle lotte, non certo lontane da critiche dalla comunità stessa. Il travestimento eccessivo delle Drag è visto come una forma di iperbole e di fatiscenza dalla comunità transgender, andando a confermare l’errata considerazione che si ha di loro:
Una dimostrazione della confusione sul significato dell’essere drag e dell’essere trans, come se le due cose potessero essere sovrapponibili. Come se un vestito e una performance definissero l’orientamento sessuale o il genere di un essere umano. Che il drag sia un’arte è fuori discussione, un’arte che tra l’altro non è più appannaggio dei soli uomini e non solo di uomini omosessuali: negli spettacoli, soprattutto a livello locale, faux e bio queen (donne vestite da donne) e drag kings (donne in abiti maschili) spopolano.
Nato nel 2009, il RuPaul’s Drag Race è diventato uno dei programmi più seguiti dalla storia. Il progetto nasce per mostrare al mondo chi sono le Drag queen, con la maschera e senza, chi sono gli uomini che intraprendono questa svolta, analizzando la loro storia, mettendo a nudo le debolezze, il carattere e l’anima di chi ama sentirsi vivo attraverso il glamour Drag. All’interno del programma, i partecipanti mettono in gioco la propria creatività, reinventando i costumi delle celebrities più amate, da Adele a Lady Gaga. Dalla trasmissione, RuPaul ha creato un vero e proprio manifesto per chi ha dovuto affrontare le difficoltà in famiglia, con gli amici, a lavoro e in generale di chi ha scelto di esprimere se stesso. Non mancano storie di bullismo, violenza e confusione per affermare un’identità che non riesce a stare nascosta nel profondo dell’Io. Kim Chi, Katya, Latrice Royale, Raven e Sasha Veloun sono solo alcune delle dive che RuPaul ha lanciato con il mantra “express and love yourself”. Accettazione, self-confidence ed espressione sono le chiavi del programma che ha lanciato numerose dive, dando uno smacco all’omofobia a colpi di glamour e brillantini.