I bambini di Terezìn

Nel ricordare la tragedia dell’Olocausto si fa spesso riferimento al campo di sterminio di Auschwitz e agli orrori che molti ebrei hanno vissuto lì. Tuttavia, i campi di concentramento sono stati numerosi e diversi. Tra questi spicca quello di Theresienstadt, noto anche come ghetto di Terezìn: in questo luogo gli ebrei potevano leggere, disegnare, suonare, imparare. Pur essendo Terzìn un centro di reclusione, infatti, la cultura vi regnava. Una cultura, però, priva di libertà. E ricca di vittime.

Theresienstadt si trova nell’attuale Repubblica Ceca e fu annessa alla Germania nazista nel 1938; dal 24 novembre 1941 l’intera cittadina fu trasformata in un ghetto, cioè una struttura di internamento cinta da un muro, per gli ebrei cecoslovacchi. Ben presto, però, i nazisti fecero convogliare qui numerosi ebrei provenienti da altre zone sottomesse al Terzo Reich. Il campo fu attivo dal 1941 all’8 maggio del 1945, giorno della liberazione: dei 155.000 ebrei passati da Theresienstadt 35.440 perirono nel ghetto e 88.000 furono deportati (i dati sono resi noti dall’Istituto Yad Vashem, ovvero l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah).

La cultura diffusa nel ghetto, dunque, non risparmiò affatto i deportati dalla morte. Le condizioni di vita erano molto difficili e, a causa della scarsità di cibo e di igiene, numerose furono le vittime delle malattie (il tifo era la più diffusa). Tuttavia, Theresienstadt fu utilizzato dalla propaganda nazista come modello di campo di reclusione ebreo; era denominato, a detta di un sopravvissuto,The paradise camp. In occasione di una visita della Croce Rossa, voluta insistentemente dal governo danese – preoccupato dalla deportazione di molti artisti e altre importanti personalità di origine ebraica -, i nazisti portarono avanti “l’operazione abbellimento: costruirono nuovi edifici e migliorarono le condizioni igieniche, specialmente quelle degli ebrei danesi. Giunsero infine a realizzare un vero e proprio documentario che testimoniava la pulizia e l’ordine del campo. La visita si tenne il 23 giugno 1944 e la Croce Rossa confermò le ottime condizioni dei detenuti e l’inesistenza di una “macchina dello sterminio”. Peccato che, alla vigilia dell’arrivo della delegazione della Croce Rossa, per limitare il problema della sovrappopolazione 7.500 ebrei fossero stati deportati ad Auschwitz per poi morire nei crematori.

Durante la visita, i membri della Croce Rossa ebbero anche l’opportunità di assistere all’esecuzione di un’opera musicale, intitolata Brundibar, da parte di un coro infantile. Una delle particolarità del ghetto di Terezìn era infatti la grandissima presenza di bambini (circa 15.000). Alcuni di essi giunsero al campo con i genitori, da cui furono spesso immediatamente separati, altri furono invece deportati da altri campi, come nel caso del convoglio di 1260 bambini proveniente dal ghetto di Białystok e che arrivò a Terezín il 24 agosto 1943. La maggioranza dei piccoli ebrei morì perché trasferita, negli ultimi mesi di esistenza del campo, in altri luoghi di sterminio (prevalentemente Auschwitz).

Ciononostante, fu proprio la grande presenza di minori a favorire l’eccezionale opera pedagogica che distinse Terezìn. Gli adulti, infatti, si adoperarono per garantire ai piccoli detenuti un’istruzione adeguata. Friedl Dicker-Brandeis, insegnante di arte, favorì l’amore per la pittura nei bambini creando una classe di disegno. La donna riuscì a nascondere in una valigia le opere dei suoi giovani allievi, catalogate con nome e data, prima di essere deportata; pertanto i disegni riuscirono a essere preservati. A volte si tratta di rappresentazioni semplici e felici, testimonianze di un desiderio di serenità, come farfalle e fiori. In altri casi si tratta di scenari di guerra e morte, specchio della realtà che quei bambini si ritrovavano a vivere.

Molti ragazzi internati a Terezìn decisero inoltre, incoraggiati dal loro sorvegliante, il professor Valtr Eislinger, di dar vita a un settimanale dal titolo <<Vedem>> (avanguardie). Il giornale era prodotto clandestinamente e letto il venerdì sera; se ne sono conservate circa 700 pagine. <<Vedem>> conteneva poesie, disegni e recensioni di spettacoli, inoltre era totalmente autogestito da bambini e ragazzi; il direttore era infatti il quattordicenne Petr Ginz, deportato ad Auschwitz nel 1944. Questa una sua citazione:

Ci hanno strappati dal terreno fertile del lavoro, della gioia, della cultura che doveva nutrire la nostra gioventù. Lo fanno con un solo scopo: distruggerci non fisicamente, ma spiritualmente e moralmente. Otterranno il loro scopo? Mai! Privati delle nostre vecchie fonti di cultura, ne creeremo di nuove. Separati dalle nostre vecchie sorgenti di gioia, creeremo per noi una gioiosamente radiante vita nuova.

Un altro elemento che caratterizza Terezìn è stata la presenza della musica. Spesso i deportati, come si è già accennato, erano musicisti di professione, che insegnavano ai bambini (ma non solo) a cantare in coro opere musicali, tanto che furono realizzati numerosi spettacoli. Celeberrima divenne la rappresentazione del Requiem di Verdi, effettuata proprio in occasione della sopracitata visita della Croce Rossa. Al canto assistettero diversi ufficiali tedeschi, tra i quali Adolf Eichmann (uno dei maggiori responsabili della Shoah), il quale ritenne “folli” quegli ebrei che “si cantavano da soli il requiem”. In verità, il direttore dell’orchestra Rafael Schächter voleva organizzare una “vendetta musicale” contro i nazisti, rivolgendo loro le parole del Dies irae, parte culminante del Requiem in cui si prospetta l’avvento del giorno del giudizio e della conseguente vendetta divina contro gli aguzzini.

La “Repubblica delle farfalle” (così a posteriori fu definito il ghetto) ha messo in evidenza la straordinaria forza dell’istruzione, unico bene di cui non si può essere privati. L’educazione, infatti, forniva ai bambini la possibilità di mantenere un equilibrio emotivo, messo a dura prova dalla realtà quotidiana del campo. Le innumerevoli sofferenze patite trovavano una valvola di sfogo nel disegno, nel canto e nella poesia. Si può dunque affermare che Terezìn è la prova che la cultura può davvero essere utilizzata come arma.

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