Maschilismo e (t)rap: a che punto siamo?

Maschilismo e (t)rap: a che punto siamo?

Innanzitutto è importante fare chiarezza sul termine femminismo, che viene spesso mal interpretato. Essere femministi significa volere la parità dei sessi, e non la superiorità del genere femminile.
Il rap è il genere musicale maschile per eccellenza, dove le donne non sono mai riuscite a farsi spazio – almeno non in Italia – se non negli ultimi anni: alcuni esempi sono quello di Beba, prima donna a rappare in un Mixtape della Machete Crew, Leslie e Priestess (presente in un ritornello abbastanza dimenticabile del nuovo disco di MadMan e Gemitaiz).

Il maschilismo nel rap

Nonostante il rap si stia iniziando a tingere di rosa, molti dei colleghi uomini non perdono mai l’occasione per dire che le donne non sono capaci di rappare, di scrivere o di produrre. Fabri Fibra dice a tal proposito in Vaffanculo Scemo:

La mia donna più che rap deve farmi i bocchini.

Fabri Fibra ai tempi di Mr Simpatia (2004), nascondendosi dietro alla frase “creo personaggi nei miei testi e poi li distruggo”, inneggiava allo stupro senza farsi troppi problemi. In Gonfio così cantava:

Questa classica sfigata che va in cerca di attenzione
finirà un giorno stuprata nel bagno della stazione,
così ‘sta ritardata dopo i primi due cannoni
s’addormenta e non si accorge che le tolgo i pantaloni
c’è nel muro una foto lei da piccola col nonno
io le abbasso le mutande e inizio a scoparci nel sonno.

Ritroviamo Fibra anche nel brano Non Sei Una Figa, del duo Microspasmi:

Non mi dire che pretendi di far la diva,
se quando poi arrivi ai fatti non dai la figa.
Io non vorrei tu pensassi che sei una diva,
non, non, non sei una figa.

Capo del maschilismo più recente è sicuramente Gué Pequeno, che per parlare del sesso femminile utilizza appellativi come troia o iatro, in base alla parola con cui deve fare rima. Alcune delle sue rime sono:

Le iatro mi pregano come fossi Dio
ma non mi fermo a Eboli,
mi fotto un’ebony.
[…]
Faccio bagnare le gafi
locu da prendere a schiaffi.

O all’inizio del brano S.e.n.i.c.a.r., con l’amico Marracash, dice una frase che suona – speriamo involontariamente – come un triste chiasmo:

Scopiamo le vostre donne e stupriamo i vostri beats.

Marracash invece, in una canzone dal titolo *Roie, scrive:

Ma sembra solo a me che son tutte roie
So-son tutte roie
Aprile, metto il gettone
Chiudile come cesoie
Aprile, hai un’occasione.

E ancora:

La mia ex era una troia ma se ci penso essere troia non era il peggior difetto,
Se me l’avesse detto io almeno l’avrei pagata, chissà perché ha scelto di recitare “l’innamorata”
Certe si fanno pagare, altre invece la danno
Le prime sono puttane, le altre che scusa hanno
Troie da strada, troie da lap dance nei locali, troie nei club chic, troie in tv, troie presidenziali
Alcune passano attraverso tutte queste fasi.

Anche Salmo non sembra distanziarsi tanto da Gué, in Perdonami per esempio dice:

Le tipe che schiacci non le farei toccare neanche dal cazzo del cane.

In Yōko Ono invece afferma:

Scusa stronza ma la mia penna è maschilista.

Il maschilismo nella trap

Nella trap il sessismo è ancora più presente. Miliardi sono gli esempi che vedono la donna considerata solo come un mero oggetto sessuale, soprattutto nei testi dei maggiori esponenti del genere, come Sfera Ebbasta o la Dark Polo Gang.
Sfera in Ricchi X Sempre dice:

Ho i soldi in tasca e lo zio Tommy che mi scorta
scelgo una tipa e nessuna dice di no
me la portano in camera con una vodka.

La Dark Polo Gang in Magazine:

Mi vede e dopo apre le gambe
La scopo e poi si mette a piangere.

E in Flex:

Ho cinque troie ai Parioli
Vado da Gucci e poi spendo
Cinque commesse quando entro
Con due puttane in una suite.

Rap game e discriminazione

In generale, se i rapper riescono a non dare della troia a qualsiasi ragazza con cui si rapportano, hanno comunque la brutta abitudine di definirla in base a quello che hanno in mezzo alle gambe: quindi figa se si sentono volgari e pussy se vogliono fare i raffinati. Questi termini faranno anche parte del “rap game” di cui tanto si parla, ma è un comportamento vecchio e figlio di un atteggiamento discriminatorio fortemente radicato nel rap e che non sembra essere criticato da nessuno.

Mambolosco scrive in Guarda come Flexo, feat. Edo Fendi, riferendosi a un rapporto sessuale:

Continuo anche se dice basta.
[…] Sta troia la passo a un altro
To, ciapa.

La cultura dello stupro

Le donne purtroppo nel rap vengono spesso ancora oggettivate e stereotipate, come se non potessero dare altro che il loro corpo scolpito dalla palestra e dall’insalata scondita. Queste rime purtroppo sono figlie di quella che viene chiamata cultura dello stupro, definita da Emilie Buchwald, Pamela Fletcher e Marta Roth nel loro Transforming a Rape Culture (1993) come:

Un complesso di credenze che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne. Questo accade in una società dove la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta.

L’atteggiamento dei rapper nei versi citati è molto grave perché normalizza e giustifica delle forme di violenza che non devono essere percepite per nessun motivo dall’ascoltatore come legittime. La violenza non può essere mai usata come corteggiamento o per qualsiasi altro motivo. Se una donna dice no, intende dire proprio NO e MAI sì, come spesso sentiamo dire.

Il futuro è rosa?

Parliamo quindi di una società che è stata a lungo imprigionata da pregiudizi nei confronti delle donne, che sia per le loro capacità lavorative o per alcune caratteristiche fisiche. Sembra che il femminismo non abbia toccato quasi per niente le penne dei rapper, che continuano a usare il termine troia come sinonimo stronza, non capendo la sostanziale differenza.

Madame, la giovane cantante promessa del rap italiano, ha scritto una canzone che descrive perfettamente questa situazione. In 17 infatti dice:

Hey, lover
Ma serve liberarsi dalle gonne
Perché la musica rap piaccia agli uomini.
[…] Fai quel cazzo che ti pare, lady
Tanto questa Italia, lady
Vede le ragazze come bambole gonfiabili.

Speriamo che il futuro riservi alle donne la possibilità di potersi confrontare con i loro colleghi e che questi capiscano che la musica è un importante mezzo di comunicazione, capace di inviare messaggi molto chiari in particolare alle nuove generazioni, che risultano ovviamente facilmente influenzabili.

E allora, come direbbe il buon Cesare Cremonini:

Va bene, giochiamo ad armi pari, gli uomini e le donne sono uguali!

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