Si chiamano Alessandro Meneghini, Luca Gazzola, Marco Pivato e Filippo Lorenzo Mocellin. Da Bassano del Grappa, provincia di Vicenza, i quattro membri dei Virtual Time hanno prodotto e sperimentato: un EP dopo l’altro, un LP, il progetto di una pentalogia annuale.
Non si nascondono dietro dichiarazioni di assoluta originalità, forse non ne hanno bisogno. Menzionano infatti, sul loro sito e sulle pagine social, le loro fonti di ispirazione principali, che affondano tutte nel fermento musicale degli anni ’70. Dall’hard rock dei Led Zeppelin e dei Deep Purple al progressive dei Pink Floyd, fino ad arrivare alle sonorità molto più recenti dei Muse. Un revival, un mix di generi di ispirazione nostalgica che ricorda un po’ il fenomeno (non citato tra fonti, ma che pur trapela tra le righe) dei Greta Van Fleet. In fondo, che vengano dal Michigan o dal Veneto, parliamo sempre di quattro ragazzi appassionati che cercano, a partire dai loro modelli, di dare al rock una nuova voce.
Dopo il lancio iniziale di una serie di singoli, l’EP Getting Twisted e due album, l’ultimo dei quali edito nel 2016 col titolo di Long Distance, l’idea che sorge dal gruppo è quella di pubblicare ben cinque dischi in un anno solo. Progetto finale: un unico box set dal titolo Pictures. Ad aprile 2018 viene presentato il primo capitolo, From the Roots to a Folded Sky; a ottobre il secondo, Animal Regression. Nel frattempo, dopo i primi tour promozionali nel Nord Italia, i Virtual Time volano in Olanda.
A-go-gi-ca
Il terzo progetto della pentalogia si chiama Agogica, ben sillabato “a-gò-gi-ca”. Per chi non ne
Di movimento a tutti gli effetti si parla, un movimento musicale che dovrebbe condurre, dopo l’ouverture dei primi due dischi, al cuore dell’opera musicale. Ora, più che di terzo progetto, forse si dovrebbe parlare di un secondo inizio.
Con la variegata tracklist di Agogica, infatti, la band vicentina lascia in secondo piano le chitarre distorte protagoniste di brani come Heaven is Asking e Animal Regression, per dedicarsi invece a ritmi e atmosfere inesplorate.
Ma andiamo con calma. Il disco comprende otto tracce, alcune abbastanza lunghe, altre invece di raccordo, come la strumentale Subtle Echoes.
Il segreto è partire con il piede giusto. Nowhere Land è la corretta apertura. Benvenuti da nessuna parte. Gli effetti di distorsione non vengono meno rispetto ai dischi precedenti ma lo spazio concesso loro è meno ampio: i riff acustici, gli assoli, i momenti di arpeggio lasciano l’ascoltatore più libero di muoversi. E più libero di interpretare anche quella seconda parte del brano, che è tutto un concentrato di suoni tipici della musica elettronica, un gioco di sintetizzatori.
La seconda traccia si destreggia tra atmosfere psichedeliche, synth, cori di sottofondo. L’ascoltatore sorride, il richiamo c’è. Time dei Pink Floyd con il suo ritornello memorabile si affaccia prepotentemente almeno nella prima parte del brano dei Virtual Time. Se sul lato oscuro della luna risuonano i Pink Floyd, tra i primi ad aver scandagliato l’animo umano come mai prima, from the other side cantano i Virtual Time.
E allora a modo loro giocano, rigiocano, esplorano. E dal momento che il cuore di ogni uomo è un miscuglio di emozioni contrastanti, anche la musica, specchio dell’interiorità, lo diventa. Così, il finale di She, con il suo sound elettronico in dissolvenza, stride con gli accordi in acustica della breve, ma intensa, A Night in Paradise.
Il mondo resta indietro, mentre si avvicinano spiagge lontane. L’animo sembra placarsi, al ritmo di una chitarra acustica. Distant Shores, l’ultima traccia dell’album, unisce tutti i ritmi e le arie finora esplorate in un unico testo. Si chiama flusso di coscienza. Quello che porta via tutti i pensieri in una sola canzone. C’è la chitarra, ci sono i cori, le percussioni, le tastiere; c’è la potenza necessaria a chiudere questo terzo capitolo di vita e di musica.
“How many times can a man pretend to be different?” È la domanda che lanciano i quattro ragazzi alla fine del disco. Un album che molto omaggia, ma molto anche collauda e cerca pian piano di costruire. Agogica è sicuramente un impulso travolgente, che inizia dai Pink Floyd per proseguire tra gli oceani. Energico, vivace, spontaneo, l’album lascia l’ascoltatore in sospeso.
A-go-gi-ca, ben scandito. Come il progetto (e la promessa) dei Virtual Time.
Copertina e immagini gentilmente fornite da Fleisch Agency