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La quête western di John Williams

Lo stormo di opere che avvolge il mondo della natura ha trovato in Butcher’s Crossing di John Williams un nuovo caposaldo. L’autore, già noto per Stoner e Augustus – entrambi editi da Fazi Editore –, ha raccolto in questo testo il senso di un viaggio senza punti di riferimento. La carovana che lascia il misero villaggio di Butcher’s Crossing alla ricerca di un mandria di bisonti percorre un viaggio arduo tanto nel contesto fisico che in quello umano. William Andrews è il giovane protagonista del piccolo capolavoro western di Williams che, nello scorrimento di una narrazione dolce e senza eccessivi picchi di lirismo, si conclude con un panorama morale inizialmente imprevedibile.

Per chi è abituato agli altri lavori di Williams, Butcher’s Crossing presenterà alcune similarità con quanto già letto. Si ritrovano la prosa senza eccessi di barocchismo e il dialogo morbido ma decisivo, senza licenziare le abbondanti ritorsioni di significato che emergono dai piccoli gesti. Il giovane William Andrews è costretto a uscire dalla propria comfort zone, con la necessità di affrontare difficoltà e dilemmi propri della lontananza da casa. Così il protagonista di Butcher’s Crossing si deve confrontare con gli spazi sconosciuti del Colorado, del Kansas, di un’America lontana dalla civiltà. Per questo l’uomo non è più padrone del suo mondo, tanto che è il lettore a cercare – con i protagonisti – soluzioni alle criticità della vita allo stato naturale. Williams dipinge un mondo in cui è percettibile la simbiosi fra fisico e interiore, in cui le azioni che impegnano il corpo suscitano necessariamente una conseguenza nell’animo. La paura e il senso d’alienazione sono principi fondamentali di Butcher’s Crossing, dove l’ambito puramente umano, sperduti fra catene montuose e praterie, detiene un ruolo secondario. Certamente non mancano le profondità caratteriali dei personaggi anche se sono l’ambiente, il mondo, la natura a padroneggiare la narrazione. Williams permette di assimilare lo spirito di un West indomabile, dove la violenza non è quella fra umani ma un sintagma del conflitto fra natura e uomo. Le ammiccanti immagini che escono dalla penna di Williams sono fotografie cinematografiche che permettono al lettore di essere dentro un’avventura western, in un paesaggio lontano dai palazzi romani di Augustus o dalle aule universitarie di Stoner. Nel primo, un’autobiografia dell’Imperatore Augusto, vincitrice del National Book Prize nel 1973, c’era una presenza molto più insistente di dialoghi e meno ricostruzioni; nel secondo, Stoner, rimangono i temi della ricerca e della maturità ma sotto aspetti e forme completamente diversi. In pratica, Augustus Stoner confermano il piacevolissimo stile di Williams ma si discostano per quelli che sono i temi trattati.

La narrazione è interamente ambientata in Colorado, un territorio a tratti quasi bucolico ma che, nell’arco di un anno, riflette su se stesso tutte le intemperie delle forze naturali. Dal caldo che provoca sudore alle nevicate settimanali che non lasciano troppe alternative, la carovana dei protagonisti è un autentico corpo umano, in cerca di acqua, di cibo, e soprattutto con uno scopo da archiviare. L’alternanza tra introspezione e difficoltà dei momenti fisici sono il binomio fondamentale che sta alla base dell’opera; eppure, una volta chiuso il libro, si ha perennemente quella sensazione di ricerca e di sfida, che il lettore condivide con William Andrews e la carovana.

Gli stessi personaggi sono carichi di significati e introversione e, pur capendo le varie personalità, in ciascuno è impossibile definire un tratto completo del proprio carattere. Ciò è bellezza e mistero di Butcher’s Crossing, che vive negli Stati Uniti più crudi e selvaggi, come se la carovana fosse un oggetto umano in uno spazio cosmico. La mandria è un obiettivo e un miraggio, è apparentemente irraggiungibile ma allo stesso tempo esistente: è il motore della ricerca dei vari personaggi, quella interiore di Andrews e quella ultima esistenziale per il capo Miller; ma è anche bramosia per l’avido Schneider e forse redenzione per il povero Hoge. Non è un caso che Williams intrecci il mito del go West! che ancora riecheggia a fine Ottocento e le dinamiche di una duplice quête: la ricerca della mandria parte dalla volontà di William Andrews di cercare un nuovo “io”, ma è anche una missione professionale nei meandri degli Stati Uniti del Sud. Come anticipato, la mandria è oggetto reale e metafora, è uno scopo comune e una ricerca introspettiva dentro se stessi. Non ultimo, c’è un po’ di romanzo di formazione tra le pagine di Butcher’s Crossing, che accompagna il lettore verso la maturità di un personaggio magnificamente costruito.

Nel 1960, John Williams ha portato alla luce un western dall’eco cinematografico, in cui i protagonisti si confrontano lontano dalla civiltà rendendo Butcher’s Crossing un romanzo sorprendentemente impervio e intenso.

 


FONTI

John Williams, Butcher’s Crossing, Fazi Editore, 2015, Traduzione di Stefano Tummolini

CREDITS

Copertina

 

 

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