Omnia mea mecum porto: la mostra dei 13 (ri)scatti alle Gallerie d’Italia

13 storie dalla strada.

Il titolo di una mostra fotografica che racconta già tutto di sé, mescolando 13 realtà differenti di 13 diverse persone, tutte provenienti dalla strada e tutte pronte a raccontare la volontaria estrapolazione dai bassifondi; 13 anime che finalmente possono tornare a illuminarsi e a splendere nel nome di un’integrazione sociale pienamente umana e artisticamente coinvolta.

Il numero 13 non porta sempre sfortuna, soprattutto quando è raccontato con la voce e descritto con gli occhi di coloro che con la sfortuna ci hanno fatto i conti per una vita intera, più e più di una volta.

In realtà il 13 è un numero abbastanza benefico e positivo e paradossalmente in grado di concentrare l’inversione apotropaica che normalmente assoggetteremmo al ben più sfortunato numero 17 o al giorno settimanale del venerdì 13; entrambi sono date o congetture mortifere, o per inversione anagrammatica dei numeri romani (dall’incisione tombale VIXI a XVII, da “sono vissuto” a 17) o per funeste ricorrenze di ecatombe storiche, come per esempio il massacro dei Templari indetto da Filippo il Bello re di Francia nel giorno venerdì 13 ottobre 1307.

Questa però è un’altra storia e poco c’entra con il progetto commovente che la Fondazione Cariplo, in collaborazione con l’associazione Riscatti ONLUS, ha inaugurato alle Gallerie d’Italia ed esporrà fino al primo settembre 2019; abbiamo visitato per voi questa breve mostra, volta a rivelare «un progetto di riscatto dalla periferia al centro», e proporre «un progetto che unisce l’atto di raccontare a quello di raccontarsi».

Tredici senzatetto, tredici fotografi senza fissa dimora che l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Milano ha voluto incaricare di una missione difficile e importante, quella di riscattarsi, scattando.

Dalia Gallico, curatrice della mostra fotografica, ha selezionato fra più di 1500 scatti un repertorio di 52 immagini, distribuite in tredici percorsi prospettivamente e prospetticamente immensi, nella chiusa semplicità di un’inquadratura fino alla complessità neutra di una testimonianza in bianco e nero, che illumina gruppi di persone davanti e dietro un obbiettivo.

Un anno di lavoro avvolto da Muse umane e inquadrature umanizzate, dei reportage di una guerra che si consuma ogni giorno nella marginalità dolorante, dimessa e fragile di quelle persone che non hanno nulla e che ora offrono tutto in cambio di una visione attenta e contemplativa dei propri scatti.

Uno dei 52 scatti della mostra. “Fertile Contro Coltura” di Massimo Beretta

Ogni impressione statica e immobilizzata sulla lastra fotografica riesce a offrire i suoi frutti, succosi o immaturi che siano; sono poche le fotografie che hanno una finalità puramente enunciativa o di sola denuncia, sono poche le fotografie che nella loro estrema essenzialità non emozionino il pubblico, così come sono poche le fotografie a poter anche solo avvicinarsi all’idea di capolavoro, ma che in questo caso non devono riuscirci minimamente, perché di talenti non si tratta.

Una mostra di testimonianze per pensare a quei luoghi ai quali non diamo peso e che molti invece definiscono “casa”. Si osserva un mondo che trafigge con la vista e rianima con la saturazione emotiva di sorrisi imperfetti, pronti a gridare al mondo un motto antico ma rinnovato, simile a quello di Biante di Priene, uno dei sette savi che nei Paradoxa ciceroniani dichiarava: Omnia Mea Mecum Porto (“Porto con me tutti i miei beni”).

Alla ricerca di un mondo pulito; Il posto più bello della mia città; La prima volta sul ring; la casa per fare insieme; In viaggio con il tempo; Il futuro di un parallelepipedo di plexiglas; Street Art 2.0; Prezioso come uno scarto; Ogni giorno come oggi; Fertile come una comunità; Qualche passo nel cielo; Siamo pieni di talenti; Equiliberi di essere.

Quelli suddetti saranno i titoli del viaggio che potrete intraprendere in una stanza di pochi metri quadrati, nell’ala del museo in piazza Scala, dietro alle tele del De Chirico e di Fontana, una gita visiva che può servire per dare un senso diverso e dirottato, se non a un’intera esistenza, ad almeno una giornata di vita.


 

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