Il braccio di ferro degli Stati Uniti all’ONU nei conflitti internazionali: il potere della minaccia del veto

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha recentemente approvato, dopo un lungo braccio di ferro, presso il palazzo di vetro di New York, la Risoluzione n. 2467 avente per oggetto il potenziamento nella repressione e prevenzione della violenza sessuale nelle situazioni di conflitto. Come è noto dalla giurisprudenza consolidata della Corte penale internazionale, lo stupro perpetrato durante i conflitti armati è considerato un’arma di guerra quando posto in essere come tattica e strategia bellica, tanto sulle donne, quanto nei confronti degli uomini. La risoluzione è stata approvata lo scorso 23 aprile con 13 voti favorevoli e due astenuti, da parte di Russia e Cina.

Gli interessi dell’America cattolico-repubblicana

Il braccio di ferro è provenuto dagli Stati Uniti d’America che, insieme ai due stati astenuti, fa parte dei cinque membri permanenti che hanno il diritto di veto sulle risoluzioni proposte dall’organo dell’ONU. Il tema tanto discusso e sul quale l’amministrazione Trump si è battuta fino alla fine, riguardava il linguaggio troppo forte usato in tema di diritto alla salute delle donne vittime di tali stupri. In particolare l’uso delle parole “assistenza riproduttiva” nei confronti delle stesse. In altri termini: tale assistenza potrebbe comportare, a detta delle argomentazioni sostenute da alcuni americani, il sostegno e l’incoraggiamento alle vittime di stupri di praticare l’aborto. Infatti, il tema della liceità dell’aborto anche qualora il concepimento sia frutto di una o più violenze sulla donna, continua ad essere molto dibattuto e non solo a livello internazionale. Per l’amministrazione repubblicana di Trump tale affermazione era portavoce di un’idea considerata troppo estrema, doveva pertanto essere ammorbidita e così è stato. Per fare ciò, gli Stati Uniti hanno quindi minacciato il Consiglio di esercitare il diritto di veto, gesto che avrebbe causato la non approvazione dell’intera risoluzione, incassando così la vittoria.

La proposta nella sua versione finale non prevede quindi il sostegno ai diritti della salute per le donne vittime di violenza negli stupri di guerra e non vi è nemmeno più traccia della proposta di prevedere dei gruppi di lavoro e monitoraggio dei crimini di violenza sessuale, la quale è stata bocciata dal triangolo Russia, Cina e Stati Uniti. Tutto ciò sembra essere un passo indietro rispetto a quanto elaborato negli anni precedenti con la risoluzione n. 2106 del 2013: in quest’ultima, infatti, veniva previsto l’investimento di risorse nell’assistenza medica, legale, psicologica alle/i sopravvissute/i di tali violenze, tramite le organizzazioni nazionali e locali che agiscono direttamente sul territorio.

Da quest’anno invece a fronte della decisione in esame, tali servizi multidisciplinari non verranno finanziati nel fondo della cooperazione e sviluppo. Gli Stati Uniti d’America hanno mostrato il loro volto più cattolico, repubblicano e conservatore? Parrebbe di sì, dando voce ad una parte apparentemente silenziosa ma cospicua tra la società civile americana, parte che Trump vuole rappresentare.

Le altre novità

Nella risoluzione sono stati sottolineati altri aspetti altrettanto fondamentali: il diritto a una giustizia riparativa nei confronti delle vittime, da parte degli Stati condannati per i crimini di violenza nei conflitti armati. Il ristoro economico e il supporto per un reinserimento sociale spesso diventano delle risorse vitali per tante donne e uomini. Inoltre, la risoluzione si esprime con l’espressione “gender equality”, nonostante l’aperta contrarietà degli Stati Uniti nell’usare il controverso termine gender anziché il più canonico e distintivo male and female. Ma in questo caso l’America ha dovuto mollare il colpo.

Serve una riforma delle Nazioni Unite?

Da anni il mondo accademico, quello politico e l’opinione pubblica dibattono su una possibile riforma del sistema di rappresentanza alle Nazioni Unite, cercando di trovare una soluzione consensuale, che per ora sembra essere lontana. Nonostante gli assetti mondiali siano notevolmente cambiati e l’Unione Europea giochi un ruolo cruciale tra gli attori internazionali, rappresentando ben 28 stati membri, il sistema delle Nazioni Unite è rimasto immutato a livello istituzionale e funzionale rispetto a quanto creato alla fine della seconda guerra mondiale. All’Unione Europea è infatti riconosciuto lo status di osservatore permanente presso l’Assemblea Generale e nelle riunioni delle maggiori agenzie specializzate Onu, alla stregua per esempio di Palestina e Città del Vaticano.

L’ONU appare in difficoltà a prendere la forma adatta alla realtà attuale, non realizzando quel multilateralismo che necessita del consenso e della collaborazione degli stati. Qualche giorno prima dell’approvazione della risoluzione, l’ufficio del Segretario Generale dell’ONU Guterres ha diffuso un rapporto con i dati sulle violenze sessuali nelle aree di conflitto: 12 sono le situazioni più critiche e monitorate dalle Nazioni Unite negli ultimi due anni, tra cui la Siria, il Sud Sudan e il Myanmar – nel trattamento che riserva alla minoranza Rohynga. Ma la comunità internazionale agli occhi di queste vittime sembra continuare a fare un passo avanti e due indietro.


 

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