Convenzione di Faro: che cos’è e perché dovremmo conoscerla

È il 27 ottobre del 2005 quando a Faro, in Portogallo, viene siglata la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società. Il testo è composto da cinque parti, in cui vengono definiti obiettivi, responsabilità e modalità di cooperazione: è il frutto delle aspirazioni dei singoli stati per riformare il sistema culturale, in particolar modo incentivando l’innovazione e favorendo la partecipazione pubblica.

Definito rivoluzionario, è un testo che rinnova profondamente il concetto di patrimonio culturale. Un testo di cui si parla pochissimo nel nostro Paese.
Innanzitutto la Convenzione introduce nell’Art. 2 un nuovo concetto ampio e innovativo, quello di eredità-patrimonio culturale, definito come:

“Un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”.

L’articolo 2 quindi continua con la definizione di un altro elemento fondamentale, quello di comunità di eredità-patrimonio:

“Un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”.

Gli obiettivi degli Stati firmatari sono chiari infatti fin dal Preambolo:

Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, firmatari della presente Convenzione:

considerando che uno degli obiettivi del Consiglio d’Europa è di realizzare un’unione più stretta fra i suoi membri, allo scopo di salvaguardare e promuovere quegli ideali e principi, fondati sul rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto, che costituiscono la loro eredità comune;

riconoscendo la necessità di mettere la persona e i valori umani al centro di un’idea ampliata e interdisciplinare di eredità culturale;

rimarcando il valore ed il potenziale di un’eredità culturale usata saggiamente come risorsa per lo sviluppo sostenibile e per la qualità della vita, in una società in costante evoluzione;

La Convenzione riconosce innanzitutto che il diritto all’eredità culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ma non solo: definisce la stessa eredità culturale come una responsabilità individuale e collettiva, e sottolinea che la conservazione dell’eredità culturale e il suo uso sostenibile hanno come obiettivo lo stesso sviluppo umano e la qualità della vita.

Come ha osservato Daniele Manacorda,

“Si passa cioè dal valore in sé dei beni al valore che debbono poterne conseguire le persone, […] dal diritto del patrimonio culturale al diritto al patrimonio culturale ovvero al diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio dal patrimonio“.

La valorizzazione del patrimonio culturale diviene così pilastro fondante per la costruzione di una società pacifica e democratica. Protagonisti sono dunque i cittadini, per cui bisogna

“promuovere azioni per migliorare l’accesso al patrimonio culturale, in particolare per i giovani e le persone svantaggiate, al fine di aumentare la consapevolezza sul suo valore, sulla necessità di conservarlo e preservarlo e sui benefici che ne possono derivare” (art. 12).

Come ha precisato Massimo Montella, il direttore de Il Capitale Culturale, siamo di fronte a un

“profondo rovesciamento complessivo: dell’autorità, spostata dal vertice alla base; dell’oggetto, dall’eccezionale al tutto; del valore, dal valore in sé al valore d’uso e, dunque, dei fini: dalla museificazione alla valorizzazione”.

Un testo coerente con lo spirito e la lettera dell’articolo 9 della nostra Costituzione, con la sua innovativa e ampia concezione di paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione e lo stretto legame tra tutela e promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. È anche la dimostrazione che l’Europa può essere non solo burocrazia e finanza, ma principi e valori. Gli articoli infatti dimostrano una grande consapevolezza delle istituzioni: investire sulla cultura è puntare sull’arricchimento di molti altri processi di sviluppo: economico, politico, sociale e culturale. La cultura è perciò un moltiplicatore, il quale ha il potere di estendere i propri effetti su numerosi settori.

Il sistema digitale diviene parte integrante, se non fondamentale, per la fruizione dell’eredità culturale. Creare un supporto digitale vuol dire abbattere gli ostacoli all’accesso dei contenuti culturali, supportare la valorizzazione e la conservazione, senza dimenticare la possibilità di sconfiggere il traffico illecito della proprietà culturale (articolo 14).

E’ un nuovo modo di vedere la cultura: come il motore che conduce allo sviluppo, che promuove la creatività, che fa da supporto alle democrazie. Celebrare la cultura, in questo momento, è fondamentale. Ha il potere di creare occupazione, riqualificare e offrire spazi. La cultura in Europa 2020 – una strategia decennale proposta dalla commissione europea nel 2010 è il motore per una «crescita intelligente, sostenibile e inclusiva».

Il nostro Paese deve ratificare la Convenzione di Faro dal 2013. A febbraio 2019 c’è stato nuovo stop: nell’aula di Palazzo Madama, dopo un vertice di maggioranza che ha deciso di “sospendere l’approdo in Aula della ratifica” per approfondimenti. Sembra che non si riesca a trovare un accordo: da una parte c’è chi sostiene la fondamentale necessità che il nostro Paese prenda una decisione definitiva su quello che è un importante strumento in difesa e promozione del patrimonio culturale e soprattutto del concetto di eredità culturale; dall’altra chi, nonostante condivida i princìpi sanciti all’interno della Convenzione, ritiene che l’implementazione di tali princìpi non sia semplice, temendo un’applicazione soltanto formale o una non corretta applicazione, che potrebbe essere la condizione ideale per l’emergere di vecchi e nuovi favoritismi e familismi amorali.


 

 

 

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