OBOR: One Belt One Road dalla Cina all’Europa

One Belt One Road Initiative, conosciuto con l’acronimo OBOR, è un progetto lanciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping, che coinvolge 67 paesi tra Asia, Medio Oriente, Africa ed Europa, al fine di ricreare un’unica rete commerciale che copre tre quarti del suolo terrestre. L’idea nasce dal desiderio di ripristinare la vecchia Via della Seta che, attraverso chilometri e chilometri di sentieri e strade, abbracciava lungo un’unica direzione una moltitudine di culture. Probabilmente il presidente cinese non si è lasciato ammaliare e rapire solamente da questo aspetto più malinconico e neppure la volontà di riportare in vita un’antichissima strada deve essere stato il suo principale movente. Difatti, Xi Jinping, insieme alla sua squadra di tecnici, ha ideato questo immenso progetto innanzitutto per offrire all’esercito di lavoratori cinesi disoccupati uno sbocco professionale e, in secondo luogo, ha giocato un ruolo predominante la prospettiva di entrare direttamente in commercio con l’Occidente; questo, infatti, gli permetterebbe di aggirare lo Stretto di Malacca, spina nel fianco della Cina da secoli.

La progettazione di quest’impresa mastodontica prevede la costruzione di porti, centrali energetiche, strade, linee ferroviarie, infatti “Belt” si riferisce al percorso terrestre, mentre per “Road” si intende il tragitto marittimo che coinvolgerà l’oceano Indiano e il Mar Arabico e, come punto d’approdo, il porto del Pireo in Grecia, acquisito dal colosso cinese Cosco già nel 2016; ulteriori investimenti, poi, verranno reindirizzati verso il porto di Trieste. Il costo stimato per realizzare pienamente l’iniziativa One Belt One Road ammonta a mille miliardi secondo alcune fonti, anche se non si hanno sufficienti conferme in merito perché i piani d’investimento e di progettazioni cinesi sono confusi e abbastanza celati. Il paese maggiormente coinvolto è il Pakistan, tant’è che sono previsti investimenti nel territorio pari a 60 miliardi. La Cina è da tempo interessata ai rapporti con i pakistani per un semplice motivo: il loro nemico comune è l’India, quindi per i cinesi è stato molto facile e rapido far orbitare nella propria sfera d’influenza anche il Pakistan. La Cina necessitava, infatti, di una nazione amica affacciata sull’oceano Indiano e questa non poteva essere l’India data la sua vicinanza agli Stati Uniti. Pian piano che si analizzano i progetti cinesi, si riesce quindi ad ottenere una chiara visione della reale utilità di One Belt One Road: gioco di alleanze, di potere e di strategie geopolitiche.

La Cina si trova in una posizione geografica pressoché scomoda, poiché di fronte alle proprie coste il mare non si apre all’immensità dell’oceano, ma piuttosto alle coste del Giappone, della Corea, del Taiwan e dell’Indonesia, tutte nazioni gravitanti sotto la sfera magnetica degli Stati Uniti e quindi ostacolo naturale al diretto sbocco cinese sul mare. Le navi mercantili cinesi, quindi, sono da sempre costrette a navigare in queste acque e a transitare attraverso lo Stretto di Malacca, altamente pericoloso soprattutto per la presenza di pirati. L’alleanza con il Pakistan è dunque giustificata in questo senso. In questo modo l’OBOR permetterebbe alla Cina di trasportare le merci attraverso un collegamento diretto al Pakistan concesso da linee ferroviarie o stradali, da qui poi i porti pakistani accoglierebbero tutte le merci cinesi da destinare al resto del mondo. La Cina sopperirebbe, così, alla mancanza di un porto sicuro.

Eppure, dopo aver osservato le principali motivazioni che hanno spinto Xi Jinping ad ideare One Belt One Road è spontaneo chiedersi: in che modo la Cina ha previsto la penetrazione nei 67 paesi che hanno in parte firmato il memorandum per il progetto? Da quanto dicono le carte, la manodopera sarebbe pressochè cinese e gli investimenti a maggioranza cinese, grazie al sostegno dell’Asian Development Bank e della Nuova Banca di Sviluppo, creata nel 2014 per aiutare le economie dei paesi emergenti, i BRICS. I paesi aderenti sono praticamente costretti a chiedere alla Cina un prestito finanziario soggetto a non indifferenti interessi e per questo sorge un altro problema. I cinesi stanno sottoscrivendo diversi prestiti a nazioni che devono affrontare un grandissimo sforzo economico per sostenere il progetto, l’altro lato della medaglia infatti rivela che diverse nazioni si sono già altamente indebitate con la Cina, provocando un’inevitabile dipendenza economica da essa, che probabilmente con gli anni diventerà anche politica.

One Belt One Road coinvolge 67 paesi, questo significa che la Cina potrebbe esercitare una fortissima pressione su tre continenti, facendo tremare la terra sotto i piedi agli Stati Uniti. L’Italia ha aderito al progetto nel 2017 sotto il governo di Paolo Gentiloni e di certo non hanno ritardato a farsi sentire i fastidi da parte degli americani. La direzione italiana infatti ha fatto discutere e riflettere in merito alla posizione che ha assunto il 5 marzo astenendosi dal voto riguardante un nuovo quadro per il controllo degli investimenti esteri in entrata nell’Unione Europea. Non sono molto chiari i motivi di questa decisione soprattutto perché l’Europa negli ultimi anni sta cercando di limitare l’ingerenza eccessiva e straripante nei progetti infrastrutturali, cantieristici e siderurgici esteri, per proteggere l’economia dei paesi membri.

Dunque, se da  un lato i pericoli dell’effettiva realizzazione di questo colossale progetto sono abbastanza chiari per i paesi che si vedono minacciati dallo spettro cinese presente nelle economie e nei governi in più di 60 paesi, dall’altro lato non è altrettanto chiaro in che modo il progetto verrà portato a termine, ma soprattutto non è chiaro se a causa dei toni caldi e accesi tra India e Pakistan il progetto non verrà messo in pericolo. Gli interessi dei cinesi infatti sono altamente a rischio in questo momento e per questo Xi Jinping sta cercando di raffreddare le tensioni tra le due controparti, altrimenti le sue speranze di veder realizzato One Belt One Road Initiative andrebbero a sbriciolarsi così come la speranza di estendere il proprio braccio rosso fino alle porte dell’Europa.

 

 

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