Il lato “oscuro” del Web 2.0: il totalitarismo digitale

Il totalitarismo secondo quanto riporta la Treccani è “un sistema politico autoritario, in cui tutti i poteri sono concentrati in un partito unico, nel suo capo o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare l’intera società grazie al controllo centralizzato dell’economia, della politica, della cultura, e alla repressione poliziesca”.  Storicamente, questo concetto venne utilizzato per la prima volta nel 1923 in un articolo scritto dal giornalista Giovanni Amendola per «Il Mondo» in cui analizzava l’ascesa del fascismo italiano. Infatti, se pensiamo alla parola totalitarismo, ci vengono sicuramente in mente i grandi regimi totalitari del XX secolo, come il fascismo, il nazismo e il comunismo.

Ai giorni nostri, però, sembra essersi formata una nuova forma di totalitarismo, quello digitale. Viviamo in un mondo in cui tutti sono connessi con tutti, in cui tutto è a portata di tutti: giornali, musica, film, libri, informazioni, e sembra davvero difficile tracciare il confine tra pubblico e privato. Secondo molti studiosi, Internet sarebbe diventato una specie di “maoismo digitale”, un totalitarismo cibernetico che nega al popolo la specificità della persona, riduce l’enfasi sull’individuo e cerca addirittura di renderlo obsoleto rispetto agli avanzatissimi computer. Un vero e proprio totalitarismo informatico, in cui l’accento cade sempre sulle parole «collettivo» e «tecnologia»; mai su «individuo» e «libertà».

Uno dei fautori di questa teoria è Jaron Lanier, uno dei pionieri del web, nel suo celebre saggio: «You Are Not a Gadget: a Manifesto», pubblicato nel 2010. La rete, descritta dallo scrittore come una forma di dittatura, sta trasformando gli uomini in esseri standardizzati, privi di individualità e di coscienza, influenzando la loro forma mentis e determinando comportamenti conformisti di massa piuttosto che dell’individuo. Secondo Lanier i «totalitari cibernetici» o «maoisti digitali» provengono dalla cultura del “no copyright”, dalla comunità di Linux (il sistema operativo nato dal libero contributo di ricercatori di tutto il mondo), dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dallo sviluppo della rete basato sulla «collaborazione» sito-utente, ad esempio i social network, Youtube, Wikipedia, etc. Da tutti coloro, dunque, che enfatizzano il ruolo della massa rispetto all’individuo e credono che, come sostiene Lutier in uno dei passi del suo libro, una coscienza collettiva emerga dagli utenti del web, riecheggiando così alcune tesi marxiste. Ma enfatizzare il ruolo della massa significa sminuire quello degli individui, ridotti all’anonimato e insieme violati nella privacy proprio come accade nei regimi socialisti. Questa mentalità si spinge fino a tecnodeliri che dipingono scenari da film eppure, come testimonia Lanier, radicati anche e soprattutto nella comunità scientifica. C’è chi crede che internet stesso possa prendere vita e diventare una creatura sovrumana, in grado, addirittura, di far diventare l’uomo “obsoleto”. Questa teoria è avvallata anche dagli studi di Ray Kurzwell che sostiene che le macchine, tra meno di vent’anni, prenderanno coscienza di se stesse e che l’uomo opterà per l’immortalità digitale, cioè scaricherà in rete, come un software, il proprio cervello e la propria memoria abbandonando il corpo alla sua sorte. Lanier, inoltre, contesta l’idea che sul web tutto debba essere gratuito, anche le opere d’ingegno come libri e musica e condanna il remix e la cover, basate sul riutilizzo di materiale altrui. Infatti tutelare la proprietà intellettuale col copyright significa difendere il punto di vista individuale. Forti sono anche le critiche nei confronti dell’informazione via blog, che consente il proliferare di fake news e soprattutto dei social network, dove di autentico e di reale non c’è nulla: basti pensare a Facebook, che permette di stringere “amicizie” virtuali e non autentiche, banalizzando il concetto d’amicizia e chiedono all’utente di riassumere la propria personalità in poche parole.

C’è da chiedersi se si tratti di una cosa irreversibile o se c’è ancora qualche possibilità di “frenare” questa degenerazione tecnologica prima che sia troppo tardi. Secondo Lanier, non servono soluzioni tecniche -servirebbe piuttosto una maggiore educazione civica digitale-, non si può combattere la dittatura dell’algoritmo con un sistema di calcolo più sofisticato o moderato. Perché una società basata sul libero arbitrio sopravviva, deve cambiare il modello di business di Internet: infatti, in cambio della gratuità dei servizi offerti, i grandi colossi della rete succhiano agli utenti le informazioni personali sia offerte liberamente sia dedotte dai loro comportamenti. Per utilizzare in modo profittevole queste informazioni personali, il web intrappola gli utenti dentro una di quelle gabbie da esperimenti per topi, chiamata “Skinner Box”, grazie alle quali gli scienziati sono in grado di anticipare le scelte delle cavie e addirittura di determinarle in base agli stimoli trasmessi. Allo stesso modo, vengono “studiate” le abitudini degli utenti per creare loro una comfort zone da cui sembra quasi impossibile venir fuori: ad esempio, dopo aver cercato qualcosa su Google, immediatamente sui social si viene “bombardati” di suggerimenti inerenti alla ricerca svolta. Questo perché nulla sembra sfuggire all’occhio onnisciente del Web 2.0 e, come sottolinea anche Lanier, se questo modello dovesse continuare diventerà sempre più impossibile evitare la manipolazione dell’opinione pubblica.


Fonti:

Lanier K., You Are Not A Gadget: A Manifesto, New York, Alfred A. Knopf, 2010

Transumanisti.it

Ilfoglio.it

Agensir.it

IlSole24Ore

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