Hat on top: la lunga storia del cappello

Bombetta, coppola, cilindro, colbacco, basco, di paglia, di lana, da baseball; ma anche kippah, Kefiah, papalina e fez. Queste sono solo alcune delle numerose evoluzione dei cappelli, o meglio copricapi, che con il passare dei secoli, da una parte all’altra del mondo, si sono insediati nell’abbigliamento di ogni persona. In effetti la storia del cappello è molto lunga ed è facile immaginare i motivi per i quali l’uomo abbia deciso di crearlo. Questo indumento nasce infatti già durante la preistoria con lo scopo di proteggere dal freddo o dal sole e da eventuali urti. Nelle stagioni o nei luoghi più caldi i cappelli sono costruiti con fibre naturali, mentre per affrontare le temperature più rigide sono composti di pelliccia. Uno degli esempi più noti è costituito dall’uomo di Similaun, che lega le varie componenti del proprio copricapo con dei lacci fatti passare attraverso dei buchi creati con delle ossa appuntite.

Vincent Van Gogh è uno dei pittori più tormentati, amati e inizialmente sottovalutati del mondo. I suoi dipinti più importanti si possono ricondurre al mondo della natura o dei paesini di Provenza in cui vive per gran parte della sua vita. Non meno significativi sono i suoi numerosi autoritratti, dai quali si possono intuire le emozioni e i turbamenti dell’artista grazie allo sguardo e alle rughe d’espressione che solcano il suo volto stanco. Van Gogh è fortemente legato alla vita rurale, vive in semplicità e si veste nella maniera più modesta e nel suo dipinto Autoritratto con cappello di feltro, realizzato tra il 1887 e il 1888, ritroviamo uno dei materiali più antichi per quanto riguarda la fabbricazione di cappelli. Si dice che le più antiche tracce risalgano addirittura al terzo millennio a.C, epoca in cui il feltro era utilizzato sia dai romani che dai greci, ma i ritrovamenti più antichi sono stati rinvenuti in Siberia. Creato da un intreccio di fibre naturali, si pensa sia stato utilizzato ancor prima della lana. Con il passare del tempo viene adottato da varie popolazioni in base all’area geografica di provenienza e alle loro esigenze: in Russia viene utilizzato per la fabbricazione di stivali, mentre in Mongolia per la costruzione delle tende che fungevano da abitazione. In Italia viene utilizzato soprattutto da Borsalino, una delle più prestigiose aziende manifatturiere di cappelli.

Con la nascita delle prime religioni i copricapi acquisiscono anche un significato spirituale. La testa è la sede dell’anima e della vita e per questo motivo deve essere protetta da un copricapo, che serve anche per attirare l’attenzione del divino e avvicinarsi a lui. Le corone dei faraoni, per esempio, non assomigliano alle corone dei re europei che nasceranno in seguito, ma sono dei veri e propri cappelli alti e dalle forme sinuose, simbolo di onore e sacralità. Secondo la tradizione vengono donati direttamente dagli dei ai loro rappresentanti terreni.

Come non riconoscere la maschera funeraria di Tutankhamon, risalente al 1332-1323 a.C.? E’ uno dei reperti egiziani più studiati, insieme alle mummie e alle piramidi. Realizzata con due leghe in oro, ci dà una perfetta rappresentazione dei copricapi dei faraoni egiziani. Tutankhamon indossa infatti il Nemes sormontato dalle insegne regali del cobra (Uadjet) e dell’avvoltoio (Nekhbet), che simboleggiano il potere del faraone sull’Alto e Basso Egitto. Il Nemes consiste in una cuffia di stoffa, principalmente in lino, che avvolge il capo aprendosi lateralmente e scendendo fin sotto le spalle, e viene utilizzato per sottolineare la natura divina di chi lo indossa, secondo la credenza  che i faraoni siano i figli del Dio sole Ra.

La parola ‘cappello’ inizia a essere utilizzata solo durante il medioevo e deriva dalla parola latina ‘cappa’, indicante un mantello con un cappuccio che veniva utilizzato soprattutto da monache e suore. Ci si inizia ad allontanare dagli scopi primari e spirituali dei copricapi proprio in questo periodo storico. Nel tredicesimo secolo inizia a prendere vita il lavoro del cappellaio e nascono le prime cappellerie: nel 1281 si sente già parlare dei cappellai veneziani, i Baretari, e nel 1292 in Francia nascono i Chapelliers de coton. Per tutto il medioevo le diverse tipologie di cappelli hanno il compito di distinguere i componenti delle varie classi sociali. I nobili e gli aristocratici utilizzano delle stoffe più pregiate per esempio il velluto, delle forme esteticamente più raffinate e adornano i propri cappelli con pietre preziose, ricami e nastri come la caiola.

Superati quelli che sono considerati i secoli più bui della storia europea, i copricapi ottengono un ruolo sempre più estetico. Servono ancora per distinguere le classi sociali o per proteggere la testa durante il lavoro, ma entrano ufficialmente nel campo della moda, evolvendosi non tanto per la sopravvivenza, ma per i gusti degli acquirenti che si sviluppano grazie al contesto politico o artistico in cui vivono. Nel quattordicesimo secolo i cappelli iniziano a diventare sempre più elaborati ispirandosi all’architettura gotica, con le estremità aguzze e la falda larga. Nel rinascimento la protagonista è sicuramente la Francia che detta legge per quanto riguarda la moda. A questo periodo di tempo facciamo risalire i berretti imbottiti e i feltri di lana.

Il passo avanti più importante avviene nel diciottesimo secolo grazie all’invenzione della macchina da cucire, la quale rivoluziona l’industria tessile. Realizzare vestiti diventa, con l’avanzare della tecnologia, sempre più facile e questo porta a un ricambio più rapido di stili e materiali. Rimanere al passo con la moda è sempre più un obbligo per l’aristocrazia e l’alta borghesia dell’epoca. Nel ‘700 abbiamo copricapi sempre più alti e voluminosi, per bilanciare le ampie parrucche. Nell’800 questi convivono con modelli notevolmente ridimensionati, come le cuffiette, soprattutto per le donne, legate spesso con dei nastri sotto al mento.

L’uomo raffigurato in questo ritratto è Luigi XIV di Borbone, meglio conosciuto come il Re Sole, un uomo che nella storia non è di sicuro passato inosservato. Nato nel 1638 regna per 72 anni sulla Francia. Oltre agli inevitabili eventi storici legati al personaggio è interessante conoscere il suo amore per la moda, per l’ostentazione della bellezza, e i cappelli non vengono certo esclusi dall’interesse del monarca. In questo ritratto possiamo osservare un esempio di Tricorno, riportato in voga proprio da lui. La caratteristica principale di questo cappello è che i tre lati del bordo sono rialzati e attaccati, allacciati o abbottonati in modo da formare un triangolo attorno alla corona. Questo copricapo però è legato anche ad altre realtà completamente diverse da quella della corte: per esempio viene utilizzato come marchio dai pirati, insieme all’iconica benda sull’occhio, dai militari e dai navali insieme a una coccarda come emblema nazionale e per ultimo anche nella Commedia dell’Arte, indossato dalle maschere di Meneghino e Gianduia. Oltre che a Luigi XIV, il Tricorno viene sfoggiato anche da altri capi di stato importanti nei secoli successi, tra cui George Washington.

Nel ‘900 i modelli si moltiplicano a vista d’occhio e nascono la maggior parte dei cappelli che utilizziamo ancora noi oggi. Infatti nel ventesimo secolo il cappello non è più un accessorio, ma l’Accessorio. Tutto è permesso, ogni materiale, decoro e forma è consentito, non importa se non fa parte della tradizione; il colbacco non viene più utilizzato solamente dai russi e dai turchi in campo militare, ma è sfoggiato nelle piazze durante i mesi invernali.

Henri Matisse realizza questo dipinto nel 1905, lo stesso anno dell’esposizione “Salon d’Automn” in cui verrà soprannominato dalla critica ‘fauve’. Il quadro è una pietra miliare per l’uso del colore. Ritroviamo infatti tutta la tavolozza dei colori gettati sulla tela con violenza. Oltre alla tinte accese che colpiscono l’osservatore, l’altra caratteristica che salta all’occhio è l’enorme capello che occupa quasi tutta la metà superiore del quadro. Seppur il suo ritratto Donna con cappello sia stato realizzato secoli dopo, il copricapo scombinato e poco definito ricorda i cappelli alti e voluminosi sfoggiati dalle signore dell’alta società durante il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, spesso decorati con piume e fiocco.

Negli anni ’20 e ’30 va molto di moda la Cloche, entrata in tendenza grazie a un’attrice francese Caroline Reboux. Solitamente viene realizzato in feltro in modo tale da fasciare bene la forma della testa. Una volta indossato copre quasi tutta la fronte, lasciando gli occhi liberi grazie a una piccola visiera. Le decorazioni principali sono i fiocchi.

La bombetta è sicuramente uno degli elementi più iconici dei quadri di René Magritte, capostipite della corrente pittorica surrealista. Con il Figlio dell’uomo esprime perfettamente la propria ideologia estetica e artistica: umorismo, stravaganza e ribaltamento della realtà. Con il surrealismo non esiste nessuna logica o razionalità. Magritte sceglie di rappresentare un uomo, rigorosamente con una bombetta sul capo, nascosto da una mela, per indicare la tendenza degli uomini a cercare sempre quello che c’è oltre.  L’amato copricapo viene creato per la prima volta nel 1860 a Southwark (Londra) dalle mani di Thomas William Bowler (da cui il nome ‘bowler‘ con cui è noto nel mondo anglosassone). Simbolo di eleganza, viene utilizzato anche dai personaggi più famosi, soprattutto nei primi decenni del ‘900, tra cui l’attore Charlie Chaplin e il ministro inglese Winston Churchill.

Negli anni ’40 il protagonista assoluto per quanto riguarda la moda femminile è il cosiddetto Fascinetor, ovvero un cappello dotato di veletti e reticelle da far scivolare sopra il viso. Nel decennio successivo tornano di moda i cappelli di paglia a tesa larga, e se fino agli anni ‘80 i capelli hanno stili diversi per le donne e per gli uomini, da lì in poi prendono piede i cappelli unisex e non si ha più una vera e propria distinzione fra modelli femminili e maschili. I casi più evidenti sono per esempio i berretti di lana o quelli da baseball. Utilizzati principalmente durante le competizioni sportive, in pochi sanno che vengono indossati anche dalla marina militare e dalla guardia costiera degli Stati Uniti. Vengono portati in voga dalla moda Hip Hop nata alla fine degli anni ‘70: il cappello da Baseball conquista i consumatori grazie alla sua comodità e al suo basso costo, anche se oggi i prezzi possono ovviamente variare in base al marchio – si passa dalle catene di fascia medio bassa, alla Nike fino ad arrivare a colossi della moda come Burbery o Gucci.

Come non terminare citando il rappresentate per eccellenza di questo immortale accessorio? Si tratta del Cappellaio Matto, apparso per la prima volta nel libro Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Che cosa si cela dietro a questo personaggio con il suo inconfondibile cilindro? La caratteristica che salta di più all’occhio è senza dubbio il suo enorme cappello. Il cilindro si presenta rialzato con la parte superiore uniformemente piatta, con una tesa larga, e con una fascia opaca. Nel libro troviamo solo la denominazione ‘Cappellaio’, mentre il nome con cui oggi conosciamo il personaggio deriva da un gioco di parole basato su una espressione in uso nell’Inghilterra vittoriana,  “matto come un cappellaio” (mad as a hatter). Che cosa si cela dietro alla sua confusione, alla sua ironia e alla sua pazzia? La risposta potrebbe essere legata all’uso del mercurio durante la lavorazione dei tessuti, quindi anche le stoffe per la creazione dei cappelli. Il mercurio può infatti provocare gravi danni al sistema nervoso degli artigiani che lo lavorano.


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