Il delicato tema della restituzione: il caso del Vaso di Fiori agli Uffizi di Eike Schmidt

«Le ferite della Seconda guerra mondiale e del terrore nazista non sono ancora rimarginate.»

Così ha affermato il direttore tedesco delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt il primo giorno dell’anno, riferendosi al dipinto Vaso di Fiori di proprietà del museo fiorentino, rubato da un soldato nazista nel 1944 e tutt’oggi tenuto in ostaggio dagli eredi in Germania. L’opera è un dipinto a olio su tela del pittore olandese Jan van Huysum (Amsterdam 1682-1749), celebre per le sue nature morte. È certa la sua presenza nelle collezioni di Palazzo Pitti già dal 1824, anno in cui era legittimamente entrato a farne parte a seguito dell’acquisto effettuato dal granduca Leopoldo II; là vi rimase esposto, nella sala dei Putti, fino al 1940. Durante la guerra molte opere, tra cui anche quella in questione, vennero spostate per precauzione nelle ville di campagna limitrofe. Fu durante la ritirata dei soldati nazisti da Firenze che il quadro Vaso di Fiori, insieme ad altre numerose tele, venne trasferito in provincia di Bolzano e da allora se ne persero le tracce.

La cassa in cui si trovava il capolavoro venne infatti aperta e trafugata; a fare luce sulla vicenda è stato infine il settimanale tedesco Der Spiegel che ha pubblicato una lettera del caporale Herbert Stock alla moglie, in cui le scriveva che le avrebbe spedito l’opera, la quale, a suo avviso, sarebbe stata bene in una cornice dorata. Così come nella storia di molti altri capolavori, passarono molti anni prima che la tela ricomparisse sul mercato internazionale e se ne ritrovassero le tracce. Ciò accadde nel 1991 a Londra, quando gli eredi cercarono di venderla tramite la casa d’aste Sotheby’s, la quale rifiutò però di prendere in carico l’opera proprio a causa della sua provenienza incerta. Fu allora che i legali della famiglia del caporale cercarono di mettersi in contatto con gli Uffizi e la Soprintendenza proponendo l’opera in cambio di denaro. Ecco perché oggi il direttore degli Uffizi Schmidt parla di “ostaggio”, in quanto l’opera appartiene già legittimamente all’Italia. Quello del caporale fu dunque un furto e quella degli eredi una tentata estorsione ai danni dello Stato italiano.

Certo, la restituzione di opere d’arte trafugate durante i conflitti armati è un tema oggi di scottante attualità per tutti i musei d’Europa. Si pensi alle dichiarazioni di fine novembre del presidente francese Emmanuel Macron in cui si impegnava a restituire opere conservate nei musei francesi, e in modo particolare nel museo parigino di Quai Branly (anche noto come museo Jacques Chirac), trafugate durante le guerre di colonizzazione in Africa. Insomma, sarebbero molti i musei occidentali che dovrebbero assistere a una decimazione delle loro collezioni se mai venisse attuata una legge internazionale di restituzione del patrimonio artistico: si andrebbe certamente incontro a situazioni molto complesse, in quanto la carta politica del mondo ha subito notevoli cambiamenti negli ultimi due secoli. Tuttavia, il caso del Vaso di Fiori è sostanzialmente differente: benché infatti sia stato prelevato come molti altri oggetti durante il secondo conflitto mondiale, l’opera non è entrata a far parte di un’altra collezione pubblica, ma bensì dal pubblico è passata al privato. L’opera, essendo dello Stato italiano, appartiene alla collettività e alla collettività deve tornare. Non si tratta più quindi solo di una restituzione all’Italia, in quanto paese danneggiato, ma una restituzione ai cittadini di tutto il mondo a cui le gallerie degli Uffizi sono aperte per ammirare i capolavori degli antichi maestri.

Fintanto che l’opera non sarà restituita, per volere di Schmidt, sarà esposta nella sala dei Putti a Palazzo Pitti una copia in bianco e nero del capolavoro di Jan van Huysum, con sopra la scritta in tre lingue – inglese, italiano e tedesco: RUBATO!

Gallerie degli Uffizi, Firenze


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