La donna tra Atene e Sparta

Le donne nel corso della storia, si sa, non sono state trattate a dovere, soprattutto quando si tratta di epoche più antiche. Le fonti non fanno nient’altro che continuare a testimoniarci come nella vita quotidiana il ruolo della donna fosse preciso e ben iscritto in un quadro dalla cornice spessa e immutabile.

Fonti iconografiche, ritrovamenti, opere letterarie e non solo hanno permesso agli storici di affrontare nel modo più puntuale e ordinato possibile un argomento così ampio e a tratti persino dispersivo. I limiti del discorso si ingrandiscono e traboccano sempre di più in ambito non solo sociale e psicologico ma anche storico, culturale ed economico.

Nel periodo che va da VII al IV secolo a.C in realtà si potrebbe dire che la donna un ruolo sociale non lo ha proprio avuto. Il nucleo familiare su cui si basa tutta la società greca arcaica e classica comprende la femmina solo marginalmente. Adibita solamente alla riproduzione per far in modo che l’uomo avesse una discendenza, la sua unica funzione era quella di procreare.

Quando si parlava di matrimonio si intendeva un semplice e apatico contratto stipulato tra due famiglie, che spesso e volentieri assumeva i caratteri politici e sociali. E così sarà per molti altri secoli della storia, senza considerare che in alcuni paesi tutt’oggi il legame matrimoniale è visto ancora e solamente in questa ottica. Ma non solo: l’uomo poteva tranquillamente commettere un adulterio, senza alcuna conseguenza. L’altro sesso in caso di tradimento invece era punito con pene molto severe, oltre al divorzio e alla perdita dell’intero patrimonio.

La donna ateniese era un dono: insieme alla propria dote veniva – il più delle volte senza difficoltà o impedimenti di vario tipo – ceduta al futuro marito che ne diventava automaticamente tutore, se non addirittura padrone. Il mantenimento dei figli e la cura della casa erano ciò a cui una donna si dedicava per tutta la vita. Completamente diverso il ruolo del marito, proprietario della casa e di tutti i beni della famiglia. Solo l’uomo poteva occuparsi di affari, lavoro ed avere una vita sociale. Al gentil sesso tutto questo era vietato.

L’oikos – termine greco per indicare la casa – ne delinea anche il suo contenuto, la terra e il bestiame, tutto sotto il controllo e l’amministrazione della donna. Fedeltà, rispetto e osservanza dovevano essere caratteristiche della moglie nei confronti del marito. Ovviamente però il patto prevedeva l’impegno da una sola parte, l’uomo era più libero di fare ciò che voleva.

La moglie si dedicava così alla tessitura, all’organizzazione dei banchetti – ai quali però non poteva assolutamente partecipare – e passava la sua intera giornata nel gineceo, un’apposita stanza in cui occupava il suo tanto tempo libero spesso insieme ai figli e alle altre schiave che abitavano insieme a lei.

Ma ecco un’eccezione: alla donna era permesso uscire di casa in occasione delle feste religiose. Solo qui aveva pari diritti dell’uomo. Non solo poteva partecipare attivamente, ma anche essere eletta sacerdotessa e svolgere così un ruolo fondamentale nello svolgimento delle cerimonie. Al tempo stesso però i loro diritti sociali e politici rimanevano inesistenti.

Ma la situazione cambia vertiginosamente sposando il focus su un’altra città: a Sparta le donne godevano di maggiore libertà. Non solo avevano accesso più facilmente all’educazione rispetto a quelle ateniesi, ma esse potevano anche permettersi di tralasciare e non preoccuparsi né della casa né dello sviluppo e mantenimento dei figli. E così le spartane frequentano ginnasi, si divertivano, ballano e partecipano alla vita sociale della città.

Senofonte scrive infatti nella legislazione di Licurgo che la società spartana forniva sì alle donne maggior libertà, ma a patto che anch’essa fosse in ogni caso ben definita: si dice che fossero obbligate a seguire una dieta quasi esclusivamente basata su cereali, mentre il vino ero un grande cibo tabù.

La città che basava la propria fama sulla forza e sulla fisicità dei suoi cittadini, permetteva al gentil sesso di accedere agli stessi allenamenti ginnici pensati per gli uomini. Anche le donne dovevano basare la potenza sul vigore del proprio corpo. Tutto ciò suscitava sicuramente molte critiche ma al tempo stesso anche invidie delle città rivali.

Le uniche donne veramente libere erano le ἑταίραι. Prestazioni sessuali, compagnia e relazioni erano ciò che le eteree offrivano all’uomo. Per lo più schiave liberate o donne straniere esse nascevano con già addosso questo ruolo perché sin da quando erano piccole venivano istruite in questa direzione. Cantavano, ballavano, si esibivano davanti a tutti e avevano accesso ai banchetti, anche quelli più riservati.

Siamo ancora molto lontani dal riconoscimento della donna con il suo ruolo e la sua meritata dignità, ma la presenza di queste eteree dimostra, in fin dei conti, che per quanto una società possa essere oppressiva e limitativa nei confronti del gentil sesso, c’è sempre una piccola componente che si oppone a tutto. L’eccezione che conferma la regola.

Fonte

La donna nella società della Grecia Antica”, I. Savalli, Bologna, Patron Editore, 1983

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