Come la scuola sbaglia secondo Morricone

Nel 2012 Ennio Morricone, pluripremiato musicista, direttore d’orchestra, arrangiatore e compositore romano si scagliava contro l’educazione musicale a scuola. Dall’alto delle sue più celebri composizioni, che rendono magici ancora oggi film parte integrante della storia del cinema italiano e non, (come Il buono, il brutto e il cattivo, un tipico spaghetti-western nato da un’esplosiva collaborazione con Sergio Leone), Morricone non tollera come la sua grande arte e passione di vita venga insegnata in modo, secondo il suo parere, insufficiente e non adeguato nelle scuole italiane. Mancano i supporti tecnici, a partire dal più semplice impianto stereo per arrivare ai concreti strumenti musicali, essenziali per un apprendimento diretto della disciplina; ma ancor più importante e deludente è la mancanza di un approccio consono al valore dell’insegnamento: molto spesso la competenza non caratterizza gli insegnanti delle scuole pubbliche in questo specifico campo e il feedback degli studenti si rivela essere un disinteresse non per la musica in sé, in quanto di quest’ultima è possibile apprezzarne in quantità e varietà infinite, ma per il culto e l’informazione della stessa. Quasi ad incolpare la scuola dell’ignoranza musicale delle persone; non una critica ai gusti, che si possono liberamente concentrare su specifici generi (per quanto Morricone stesso sia piuttosto selettivo in questi termini), ma per la cultura, l’informazione e la conseguente mancanza di spirito critico.

L’ora di musica a scuola in effetti si presenta come un’ora molto più rilassante e meno importante della lezione di matematica. Nessun calcolo da fare, nessuna letteratura da memorizzare, nessun concetto troppo difficile da capire. Eppure sembra che si parli ancora di musica quando ci si mette a calcolare gli intervalli differenziandoli per ciascuna delle loro categorie, quando si discute sulla correttezza o meno di un’armonizzazione piuttosto che un’altra, quando ci si arena con disperazione su una lettura solfeggiata particolarmente “impestata”, quando ancora si cerca di capire la differenza fra acciaccatura, appoggiatura, gruppetto, mordente, trillo, arpeggio, glissando, tremolo, cadenza e fioritura. Tutti argomenti puramente teorici, che hanno chiaramente applicazioni pratiche, ma che vengono insegnati nelle accademie musicali nelle ore di teoria, proprio come si presenta un’ora di musica a scuola. “A scuola si insegna storia della musica” a volte invece si sente dire, ma in realtà a scuola si studia una goccia piccolissima di tutta la storia della musica che si è accumulata fino ad oggi. Se le ore di storia trattano in sintesi praticamente tutte le epoche, dando un’infarinatura generale, le ore di storia della musica trattano si e no una manciata di anni e lasciano il buio su infiniti argomenti. Il risultato è una non-cultura musicale: non si conosce la storia, perché ci si ricorda forse solo dei Canti Gregoriani, argomento dei primi anni di scuole medie; non si conosce la teoria, perché lo spartito rimane ancora oggi spesso un grosso geroglifico per molti, e nemmeno la pratica.

Che dire sulla pratica?

Morricone sostiene: “Gli educatori usano metodi sbagliati“, riferendosi non solo all’approccio teorico, ma anche alla conoscenza dell’unico strumento fornito agli studenti: il flauto dolce. Si potrebbe definire un non-strumento, in realtà è un mero pezzo di plastica con dei buchi dal suono gracchiante, acuto e fastidioso, quasi come un violino stonato. Il flauto dolce per definizione, o flauto dritto, è fatto di legno, ha un suono molto più morbido dunque rispetto a quello della versione in plastica e ha una sua storia, una sua collocazione, un suo repertorio. Te deum al flauto dolce, come L’inno alla gioia o il tema di Titanic non rientrano in questo repertorio, come nemmeno il 2018, semmai l’epoca medievale, fra menestrelli e balli di corte. Chiaramente tutto può venire rimodernato, riportato in auge e rivalorizzato, inserito in contesti contrastanti per provocare nuove sensazioni e creare nuove suggestioni, ma non è questo il caso: l’unico risultato che l’adozione del flauto dolce in plastica porta è un rifiuto verso l’apprendimento di uno strumento musicale, perché è più scoraggiante e deprimente che altro.

In alcuni istituti nascono timidamente laboratori pomeridiani volti alla formazione di piccoli ensemble musicali, di impostazione classica o più moderna, che vedono un ventaglio di strumenti anche piuttosto ampio, dagli ottoni della fanfara, ai legni delle prime file, per postarsi a percussioni, chitarre, pianoforti. Anche in questi casi, però il livello non raggiunge nemmeno la sufficienza: in età da scuole medie o superiori i ragazzi si aggirano molto spesso attorno al livello principiante. Tutto ciò è causato da una totale mancanza di interesse, a partire dalle famiglie, che non stimolano e non appoggiano nemmeno lontanamente lo studio di uno strumento musicale: ancora nel 2018 il figlio che passa i pomeriggi in campo con i compagni della squadra di calcio riceve la pacca sulla spalla dal padre, stesso padre che spesso e volentieri si fa una grassa risata davanti all’incerta performance del figlio che suona un esercizio alla chitarra, inteso come una mera perdita di tempo. “Se non sei bravo non ti conviene continuare“,  non è una frase isolata e aprirebbe molte più questioni della singola non-tolleranza della passione musicale, del resto però per essere bravi c’è bisogno di molto impegno e tempo dedicato, non solo il fisico sportivo e l’adrenalina della partita.

Sempre Morricone sostiene che “Servirebbero dieci anni per cambiare le cose, basandosi su due aspetti fondamentali: nuovo programma e nuovi insegnanti preparati, attraverso corsi di formazione, a svolgere quel programma“. Purtroppo oltre a questi dieci anni per cambiare in meglio il sistema scolastico, servirebbe anche un forte mutamento nella mentalità di molti italiani.

FONTI

Rockit.it

 

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