Marina Abramović: la prima donna che espone a palazzo Strozzi

Se vi trovate a Firenze, dopo aver visto la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, visitato gli Uffizi e passeggiato tra le gioiellerie del Ponte Vecchio che attraversa l’Arno, non potete non andare a visitare ‘The Cleaner’ la mostra di Marina Abramović a Palazzo Strozzi.

Fino al 20 Gennaio 2019 sarà possibile vedere le sue performance più celebri, realizzate da un gruppo di artisti.

Marina Abramović nasce il 30 Novembre 1946 a Belgrado: vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 1997, si autodefinisce la ‘nonna della performance art’.

La mostra, che ha suscitato non poche polemiche e che ha un fortissimo impatto, si concentra su alcune tappe fondamentali e più significative della vita dell’artista: il titolo infatti sottolinea la necessità dell’artista di mettere in ordine i lavori fatti durante la sua carriera. Salendo i gradoni di palazzo Strozzi ed entrando nella prima sala del Piano Nobile ci si trova davanti alla re-performance ‘Imponderabilia’ fatta dall’artista nel 1977 insieme al suo compagno di vita, Ulay: un uomo e una donna si trovano nudi uno di fronte all’altro in uno stretto passaggio e i visitatori possono passare in mezzo scegliendo, così, da che parte voltarsi. Nelle altre stanze si percorre la carriera di Marina negli anni vissuti insieme ad Ulay, attraverso video istallazioni che trasmettono le varie esibizioni da Relation in Time (With Ulay) del 1977 fino ad arrivare a The Lovers del 1988 dove Ulay e Marina di incontrano al centro della Grande Muraglia cinese per poi lasciarsi definitivamente.

Alcune stanze della mostra sono anche caratterizzate dalle performance iniziali ed estreme della carriera Marina come Rhytm 10 del 1973 dove la performer esegue un gioco russo, il gioco del coltello, registrando il rumore dei colpi tra le dita aperte della mano, o Art Must Be Beautiful del 1975, dove l’artista si spazzola i capelli per un’ora fino a sfregiarsi il volto e a rovinarsi i capelli. È presente anche l’esibizione Balkan Baroque, inspirata dalla guerra in Bosnia e con cui vinse il Leone d’oro. Entrando nella stanza riservata a questa performance ci si accorge di un forte odore che scaturisce dalle ossa che Marina nel 1997 pulì dal sangue e dalla carne per 4 giorni.

Una sala è poi vietata ai minori di 18 anni poiché sono presenti dei video di nudo che potrebbero urtare fortemente la sensibilità. Per la prima volta verrà rappresentata in Italia The House with the Ocean View come re-performance: Marina, nel 2002, visse per 12 giorni nella galleria Sean Kelly di New York, senza mangiare, all’interno di una struttura sospesa collegata da scale in cui i pioli sono coltelli. Verso la fine della mostra c’è l’esecuzione di Luminosity, fatta da Marina nel 1997 in cui la performer, completamente nuda si tiene in equilibrio per trenta minuti su un sellino della bici, con i piedi sospesi dal suolo: una riflessione sull’intensità della spiritualità che riesce ad imporsi sulla fisicità del corpo. Il punto di arrivo della mostra è The Artist is Present del 2010 dove al MoMA di New York, Marina ha fissato, per più di 700 ore in tre mesi, le persone che si sedevano davanti a lei.

Non mancano neanche delle opere partecipative: Transitory Object for Human Use sono oggetti in quarzo o ossidiana con cui gli spettatori possono interagire direttamente: ci si può sedere su una sedia con lo schienale in quarzo e fissare il muro o mettere la testa e il cuore a contatto con dei cuscinetti di quarzo attaccati alla parete, in modo che l’energia possa circolare; in Counting the Rice i visitatori , indossate delle cuffie insonorizzanti, si siedono ad un tavolo per suddividere e contare il riso bianco e le lenticchie nere: un senso di calma, concentrazione e cura fa riflettere sul presente.

La mostra è nata in diretta collaborazione con l’artista che ha affermato:

La mostra ripercorre i miei 50 anni d’arte, una parte è stata realizzata con Ulay con cui ho avuto un’intensa storia d’amore e di lavoro.

Sono la prima donna che espone a Palazzo Strozzi e spero che dopo di me siano tante le donne, italiane e straniere, che qui saranno ospitate”.

 

 


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A cura dell’autrice

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