La ragazza del convenience store: una lezione giapponese sull’essere “normale”.

La parola normale appare per ben 44 volte nel romanzo bestseller di Murata Sayaka La ragazza del Convenience Store, edito in Italia da Edizioni e/o.

Cosa vuol dire “normale”? Come si fa a essere “normali”? Questo si chiede la trentaseienne Keiko Furukura, commessa di konbini che fatica a trovare il proprio posto nella rigida società giapponese, carica di pressioni e aspettative, che relega gli individui più anticonformisti e diversi in un angolo perché incapace di “guarirli”.

«In questo piccolo mondo che si regge sulla normalità gli elementi estranei devono essere eliminati, uno dopo l’altro, in silenzio. Le presenze anomale vanno scartate. Ecco perché devo guarire. Altrimenti sarò allontanata dalla grande tribù delle persone “normali”.»

La vita della protagonista, così come il romanzo, si svolge quasi interamente in un convenience store (minimarket aperto fino a tarda notte o, più spesso, ventiquattr’ore su ventiquattro n.d.t.) — luogo in cui, come ammette la stessa Keiko, è “rinata”, in cui è diventata la “commessa perfetta”, imparando a interagire con le persone e a sembrare normale: 

«Ero molto brava a riprodurre con precisione gli esempi del coach e dei video che ci mostravano nell’ufficio sul retro del negozio. Fino ad allora nessuno mi aveva mai insegnato come rapportarmi con gli altri, in che modo parlare e quali espressioni facciali assumere per apparire “normale” (…). Sono nata, finalmente!, pensai entusiasta. Quello fu il primo giorno della mia nuova vita come “normale” componente degli ingranaggi della società.»

Ma se le cose sul lavoro procedono a gonfie vele, i rapporti con amici e familiari vanno complicandosi col passare del tempo; la protagonista ha quasi 40 anni, ha un lavoro part time ritenuto poco prestigioso nella competitiva società giapponese, non ha mai avuto una relazione e ha poche o nessuna chance di sposarsi e avere figli. Alle insistenti (e sfacciate) domande delle amiche, Keiko risponde con delle scuse, inventa di essere cagionevole di salute, si sente sbagliata:

«… mi sono ritrovata a essere l’unica del gruppo a non avere uno status sociale sufficientemente solido, senza un vero lavoro né un marito.»

Un giorno però le cose cambiano e nella sua vita irrompe Shiraha, un nuovo commesso. Svogliato, apatico, inconcludente, Shiraha è l’antitesi dell’uomo ideale che la sorella sogna per lei:

«Questo mondo non tollera le anomalie. Ho sempre sofferto molto per questo» dice Shiraha, mentre sorseggia un tè al gelsomino. «Dobbiamo essere per forza tutti uguali?» continua con foga crescente. «Mi fanno sempre le stesse domande: “Come mai non hai ancora un lavoro fisso, a trentacinque anni?”, “Perché non hai mai avuto una ragazza?”. È una vera fissazione, tutti a chiedere se hai avuto o no delle esperienze sessuali. E qualcuno, ridacchiando come un idiota, si permette anche di precisare: “Ah, se sei andato a prostitute non conta, eh!”. Io non do fastidio a nessuno ma gli altri si permettono di violare la mia vita privata, solo perché sono diverso e in minoranza.»

Per quanto i due non si piacciano e non provino nemmeno ad andare d’accordo, Keiko propone a Shiraha di convivere e far credere a parenti, amici e colleghi di essere una coppia, di essere normali.

Ma se tutti, da fuori, sono entusiasti e finalmente credono Keiko “guarita dalla sua diversità”, le cose tra loro non funzionano:

«Apri gli occhi, Furukura! Senza troppi giri di parole, tu sei fuori dai giochi, non hai speranze: tra qualche anno sarai troppo vecchia per avere dei figli, non ti curi e dai l’impressione che non te ne freghi niente dei tuoi bisogni sessuali. D’altra parte non guadagnerai mai uno stipendio all’altezza di quello di un uomo e non hai neanche un lavoro fisso, ma solo un misero impiego a tempo determinato. Sei un fardello per la società, un rifiuto umano.»

Shiraha infatti non perde occasione di denigrarla, di ledere la sua dignità, di ricordarle come lei sia un problema da risolvere, che non sarà mai in grado di capire le norme che la società impone.

Ed è quando le impone di lasciare il suo amato lavoro part time per trovarne uno più rispettabile, che Keiko finalmente capisce che il concetto stesso di “normale”, come lo intendono le sue amiche e la sua famiglia, non esiste:

«… appartengo alla specie dei “commessi del konbini”. Non posso e non voglio tradire la mia vera natura» (…) «Contro tutto e tutti, io sono e sarò per sempre una commessa del konbini! In quanto essere umano la tua presenza mi facilita le cose e rassicura i miei parenti e i miei amici, lo so. Ma come commessa non ho nessun bisogno di te!»

Questa è l’enorme differenza tra Keiko e Shiraha, ritenuti invece così simili dagli altri; Keiko non vuole più conformarsi, accetta finalmente se stessa e decide che fintanto che lei è felice, non le importa di cosa le diranno le persone che ha accanto. Questo, non una famiglia e una bella villetta in periferia, sarà il suo lieto fine.

Murata Sayaka

Leggendo il romanzo di Murata ci rendiamo conto come troppo spesso lasciamo che sia la società a dirci cosa è giusto, cosa è normale, cosa dovremmo fare, dimenticandoci di rispettare la nostra natura e lasciando calpestare la nostra dignità di individui.

Con una prosa scorrevole e lineare l’autrice ci porta nel mondo magico ed estraniante del konbini di Keiko e ci insegna che essere normali significa essere noi stessi, sentirci soddisfatti di come siamo, senza conformarci a un ideale che ci è del tutto estraneo. E in una società rigida e opprimente come sa essere, a volte, quella del Giappone contemporaneo, La ragazza del convenience store non è passato certamente inosservato.


FONTI
S. Murata, La ragazza del convenience store, Edizioni e/o, 2018 

 

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