Le abitudini letterarie della Y Generation

Che i Millennials (per chi non lo sapesse ancora, coloro nati tra gli anni Ottanta e 2000) siano bamboccioni, nullafacenti e ignoranti è ormai, si spera, un cliché che non sta in piedi. Negli ultimi anni è emerso, al contrario, che si tratti di una generazione di amanti dei libri e soprattutto della carta stampata, malgrado gli apparecchi digitali siano ormai diventati dei prolungamenti degli arti.

Gli ultimi mesi, però, hanno visto la generazione Y al centro di un dibattito, nato da un articolo su Quartzy che attribuisce loro la responsabilità della fine dell’era dei grandi classici letterari. L’articolo, pubblicato lo scorso luglio, evidenzia come il periodo di nascita della generazione in questione coincida con la morte dei classici. Con il termine “morte” si fa riferimento al fatto che, contrariamente alle epoche precedenti, un best seller faccia fatica, oggi, a rimanere in cima alle classifiche per lunghi periodi. Nello specifico, se si fa eccezione per Il codice da Vinci, I ponti di Madison County e Cinquanta Sfumature di Grigio, nessun libro dagli anni Ottanta è rimasto nella classifica dei più venduti per più di venti settimane. L’argomentazione a sostegno della tesi risiede nel fatto che, sebbene i Millennials siano una generazione di lettori, il loro utilizzo delle nuove tecnologie per la fruizione letteraria abbia reso difficile portare in risalto per troppo tempo singoli casi letterari; infatti, i ritmi di pubblicazione sono rapidi il doppio rispetto al secolo scorso, dunque la concorrenza risulta più accesa.

In risposta, un articolo di The digital reader accusa Quartzy di contribuire a mettere in cattiva luce la Y Generation e ribatte che la differenza col secolo scorso non sia da attribuire ai comportamenti letterari dei Millennials, quanto piuttosto al contesto entro cui sono immersi, costituito da una miriade infinita di canali di comunicazione. Il flusso di informazioni continue disponibili online mette a disposizione un ventaglio di scelte molto più ampio in merito alle uscite editoriali. Le preferenze oggi risultano condizionate – e agevolate – da una mole molto più consistente di presentazioni e recensioni e il web è di supporto per un continuo scambio di consigli e passaparola.

Non è la prima volta che le abitudini letterarie dei nati tra gli anni Ottanta e i 2000 vengono poste al centro dell’attenzione. Un sondaggio, condotto dal Pew Research Center nel 2014 su più di 6000 americani, testimonia una propensione alla lettura, in questa fascia di età, nettamente più spiccata rispetto alla generazione precedente. La ricerca si sofferma anche sul rapporto intrattenuto con le biblioteche pubbliche: nonostante una tendenza generalizzata all’acquisto più che al prestito presso queste istituzioni, i giovani ammettono di subire il loro fascino; questo è dettato non tanto dalla possibilità di reperimento di informazioni, quanto piuttosto dall’ambiente stesso e dall’immaginario che lo circonda (benché, comunque, una gran parte ammetta di trovarvi cose impossibili da reperire su internet).

E ancora, una ricerca precedente dello stesso centro sostiene che più di otto su dieci americani della generazione Y abbiano letto almeno un libro l’anno scorso e lega l’incremento della lettura all’avvento dell’era digitale, grazie alla diffusione di piattaforme quali e-reader, smartphone e pc. Eppure, sono proprio i teens tra i 16 e 17 anni a preferire la carta stampata – più dei loro colleghi di categoria più adulti – rispetto alle piattaforme digitali, “colpevoli” di possedere una batteria limitata e di poter danneggiare gli occhi.

Nel 2015 Naomi Baron, docente della American University, ha scritto il libro Words Onscreen: The Fate of Reading in a Digital World, dopo aver sottoposto a un sondaggio oltre 300 studenti in Giappone, U.S.A., Germania e Slovacchia, dimostrando proprio la predilezione per la carta stampata della grande maggioranza dei giovani lettori. Le ragioni di “rifiuto” delle piattaforme digitali, argomentate da coloro che sono stati sottoposti al sondaggio, sono l’impossibilità di annusare la carta, di verificare a che punto del libro si è arrivati (d’accordo, gli e-book riportano la percentuale del libro che è stata letta, ma non è la stessa cosa), oppure l’impossibilità di riporre il testo nella propria libreria a fine lettura, il che, ammettiamolo, dona una certa soddisfazione. Inoltre, le copie cartacee permettono e agevolano la rilettura di alcuni passaggi.

Tuttavia, c’è un aspetto per cui i Millennials si schierano a favore del digitale: la salvaguardia dell’ambiente. Anche questa caratteristica, però, si rivela discutibile se si pensa alla quantità di energia consumata per caricare l’e-book, il computer o lo smartphone. Inoltre, la carta è riciclabile. Anche il costo dei libri sembra favorire la versione digitale, ma a questo fattore si può ovviare: basta promuovere l’acquisto dei libri usati, certamente più economici.

L’Italia si rivela coerente con il resto del mondo: un sondaggio del Giffoni Innovation Hub dello scorso anno, in collaborazione con DeRev, esprime la preferenza per l’esperienza pratica a discapito di quella digitale, anche quando si tratta di leggere.

Constatare che, in special modo, è la fascia più giovane a invertire le tendenze e a smentire le aspettative sui Millennials, fa riflettere su un’evidente esigenza di rieducarsi alle esperienze pratiche e dirette a discapito di quelle virtuali. Le statistiche hanno già evidenziato la riduzione di importanza attribuita ai social network e, più genericamente, alle piattaforme virtuali per le ultime generazioni. La riscoperta del valore della cultura, dei libri e della lettura, soprattutto su carta, si inscrive in questa attitudine generale che, in questo momento storico, è un chiaro messaggio di coraggio e ribellione.


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