Il plusvalore di un libro ben fatto

Quando si parla di storia dell’editoria ci si riferisce a un ambito di studio molto vasto, i cui confini dipendono da cosa si intende per editoria e dalle discipline di partenza. Ovviamente, questo comporta diverse modalità di periodizzazione di questa storia.
Ognuno di questi approcci concorda solo sul termine post quem: il 1450. Anno di nascita (per il mondo occidentale) della stampa a caratteri mobili (vedi Gutenberg) e anno di nascita di Aldo Manuzio, primo e celebre caso di proto editore.

Originario di Sermoneta, Aldo Manuzio e la sua attività nel 1494 sono a Venezia. La storia delle origini della stampa ci porta direttamente a Venezia, capitale dell’editoria per almeno tre secoli.

Venezia era la città più adatta: già nel mondo del commercio, leader nei settori del tessuto e del vetro, competente nel gestire traffico e la vendita, già organizzata in corporazioni (che se limitano l’accesso alla professione, ne mantengono un profilo qualitativamente elevato) e abitata da una buona percentuale di popolazione che sa scrivere, leggere e fare di conto.
Della Venezia di quegli anni, Tiziana Plebani offre uno studio completo nel suo Venezia 1469.
La prima tipografia veniva installata a Venezia nel 1467: lungi dal trattarsi di un’inesattezza, la studiosa rilegge la storia veneziana  a partire dal 19 settembre 1469, quando la Repubblica della Serenissima emanava il primo privilegio di stampa della storia italiana.
Si trattava di un documento latino con il quale Venezia concedeva a Giovanni Da Spira, stampatore tedesco trasferitosi in città, il privilegio di stampare lui solo tutte le opere edite a Venezia.

Se Venezia concede questo beneficio, è, innanzi tutto, perché si sente essa stessa privilegiata di essere stata dallo stampatore tedesco. La città è consapevole delle migliorie che questo ingresso può significare.

Il libro della Plebani illustra come la Serenissima interveniva, del resto, a gestire ogni aspetto del commercio del libro. Alcuni esempi.
Venezia istituisce la figura del correttore di bozze: i compositori erano spesso di umili origini ed era facile commettessero errori e refusi.
I tipografi che avessero venduto libri con carta e colla di mediocre qualità erano puniti con il rogo degli stessi, a piazza San Marco. Una sorta di legge del contrappasso per il libraio che gettava discredito sulla città: il commerciante viene colpito con l’onta pubblica. Con pene pecuniarie o addirittura fisiche, venivano penalizzati tipografi responsabili della circolazione di notizie false, tendenziose e pruriginose.

L’interesse della Repubblica era alla qualità, ma soprattutto perché la qualità strizza l’occhio al mercato. E cioè, la qualità del mercato librario doveva rimanere alta, prima di tutto per ragioni economiche. Se Venezia era diventata capitale dell’editoria, lo doveva al suo primato in altri settori del commercio. Questo nuovo ramo, quello del libro, doveva allora confermare quel primato, e non gettare discredito sulla città.

Una simile lezione sembra essere riferita da Domenico Scarpa ne Il plusvalore di un libro benfatto. Questo articolo è del 2011 e dice una cosa molto semplice, spifferata, tra l’altro, nel titolo: investire nella qualità di un libro, paga in termini economici, non è solo una questione di etica morale.
Questa morale e il suo richiamo al 1469 più che reazionari, sembrano proprio rivoluzionari.
Nell’articolo, con un omaggio a Ezra Pound, Domenico Scarpa che dice che la bellezza è difficile e che è necessario comunicare al pubblico che questa bellezza, quella difficile, è godibile; che la moneta buona scaccia quella cattiva.
Il modo per convincere il pubblico non è l’elitarismo di chi sale in cattedra, né la sciatteria. Esiste una terza strada: “essere intransigenti sulla qualità e seducenti nel comunicare”. Ed essere seducenti significa saperne tanto di più, ma essere capace di attirare l’attenzione sulla cosa, e non su chi la sta offrendo. Ovvero sapere, ma non assumere la posa di chi sa.

Soltanto lavorare sulla qualità del libro permette di travestirsi in zio Paperone: questo è, per Scarpa, scommessa, convinzione, augurio.


FONTI
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