IL NATURALISMO DI VINCENZO VELA: SOFFICE INNOCENZA E RABBIA VIOLENTA

Vincenzo Vela è stato uno dei più celebri scultori del secondo Ottocento.
Nato nel 1820 a Ligornetto, in Ticino, Vela si sposta presto a Milano, allora sotto il controllo degli Asburgo. Qui si forma come scalpellino presso la bottega del fratello e successivamente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera a partire dal 1835, seguendo corsi sia di scultura, sia di pittura.
Prende poi parte ai moti del ’48, esperienza che unita all’atmosfera di ribellione costantemente percepita, lo segnò profondamente e fu all’origine di uno dei suoi più gradi capolavori scultorei, lo Spartaco.

In questi anni comincia ad ottenere i primi riconoscimenti in campo scultoreo, che continueranno ad essere numerosi fino al termine della carriera. Una volta terminati gli studi iniziano poi le commissioni pubbliche e private, sempre molto numerose.

Nel 1852 si trasferisce a Torino, dove ottiene la cattedra di scultura all’Accademia Albertiana affermandosi definitivamente come uno dei più grandi scultori del tempo.

Fin dalla prima formazione Vela mostra una forte tendenza al naturalismo, che si rafforza opera dopo opera.
Si nota immediatamente nel capolavoro giovanile La preghiera del mattino, del 1846, opera che per prima fa risuonare il suo nome all’interno dell’ambiente artistico. La scultura in marmo rappresenta una bellissima ragazza, dalla posa morbida, candidamente inginocchiata su un cuscino, che si accinge a recitare la prima preghiera della giornata.

L’autore è riuscito a rendere la giusta texture visiva ad ogni materiale attraverso il marmo: dalla morbidezza del tessuto, alle guance soffici della ragazza, lisce come pesche, fino alla ruvidezza delle nappe appese al cuscino. Ogni dettaglio è lavorato con cura estrema: la copertina del libro di preghiere, le singole ciocche di capelli che ricadono sulla curva morbida della spalla, fino alla meravigliosa lavorazione della veste, con il bordo leggermente stretto attorno alle braccia, increspato di mille pieghe.
Inoltre, la forma del viso e l’atmosfera sospesa ricordano i ritratti femminili del contemporaneo Hayez -di cui Vela verrà riconosciuto come successore, nonostante il diverso medium utilizzato,- e la posa della ragazza è una chiara ripresa della Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini.

Il naturalismo è fortissimo in tutte le opere di Vela, dichiarato soprattutto in un altro lavoro giovanile di fondamentale importanza: lo Spartaco del 1847-50.
Come accennato in precedenza, l’opera nasce in seguito alla partecipazione dell’artista alla prima guerra d’indipendenza italiana e ad altri moti del ‘48. La scultura rappresenta infatti il mitico schiavo trace, che per primo si ribellò al controllo romano e guidò la terza rivolta di schiavi contro l’Impero. Il parallelismo tra questa vicenda e quella contemporanea all’autore, dove Milano insorge contro gli austriaci, viene immediatamente colta dal pubblico, e l’opera fa molto rumore.
Nonostante ribellione degli schiavi nell’antica Roma fu soppressa e Spartaco ucciso, l’eroe è rimasto un simbolo di resistenza contro le oppressioni ingiuste, e proprio per questo scelto come simbolo risorgimentale della ribellione italiana al dominio austriaco.
Infine lo Spartaco è l’opera che consacra definitivamente la grandezza dell’artista.

Come si accennava, il naturalismo è molto forte. La figura sembra avanzare verso lo spettatore, scendendo gli scalini con passo convinto e sospinto dalla rabbia per le ingiustizie subite.
Spaccato e semi-nudo, scalzo, ha la fronte corrucciata, lo sguardo duro, concentrato sul proprio obbiettivo. Attorno alle caviglie ha ancora i resti delle catene dalle quali si è liberato, e indossa un semplice pezzo di stoffa attorno alla vita. Per il resto è nudo, e la sua è una nudità forte, ma non classica: i muscoli sono tesi e gonfi, pronti a scattare, e lo sguardo è concentrato, ma anche rabbioso, vendicativo, avvelenato. Sprizza energia, ma soprattutto violenza.
La posa è costruita su un chiasmo dinamico, che segue lo slancio del soggetto verso gli scalini più bassi. Le mani sono strette a pugno e in una tiene ben saldo un coltello rubato, con cui farà strage di romani: Spartaco è violento e travolgente, non è un tipico eroe classico. Attraverso la resa fisica, Vela riesce a renderlo molto realistico anche a livello psicologico, comprendendo come in una situazione simile pochi sarebbero riusciti a mantenere il controllo. Anzi, l’artista insiste su questo aspetto, incurvando gli angoli della bocca dello schiavo verso il basso, in una smorfia di rabbia.

Il definitivo in marmo è stato preceduto da uno studio in gesso, oggi conservato al Museo Vela.

Per quanto riguarda le fonti visive, Vela ha sicuramente studiato con occhio attento tutti i nudi del Giudizio Universale di Michelangelo, che ha ammirato a Roma durante il soggiorno del 1847, soprattutto concentrandosi sul dannato nell’angolo in basso a destra, intento a scendere dalla barca di Caronte.

Inoltre, gli Schiavi scultorei di Michelangelo costituiscono una fonte, così come moltissime sculture classiche conservate nel Cortile del Belvedere Vaticano, come il Laocoonte.

Lo Spartaco di Vela venne immediatamente apprezzato dal pubblico e dai colleghi artisti, ed esposto nel 1851 all’Accademia di Brera, e subito riconosciuto come grande capolavoro dell’arte moderna.


FONTI

Caffèartistico

Ticinofinanaza

Spartaco. La scultura in rivolta, (Ligornetto, Museo Vela, 6 giugno-2 ottobre 2005), a c. di Gianna A. Mina Zeni, Saggi sulla scultura N. 1, Berna, Ufficio federale della cultura, 2005.

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