IL FILO DI ARIANNA: TEMPO DI UCCIDERE DI ENNIO FLAIANO

Tempo di uccidere nasce per caso. Nel dicembre del 1946 Longanesi, che ha da poco fondato una casa editrice, propone a Ennio Flaiano di scrivere un romanzo per i primi di marzo. Flaiano accetta e in soli tre mesi completa la stesura di quello che sarà il suo primo e ultimo romanzo. Ai primi di marzo Longanesi riceve il dattiloscritto che verrà pubblicato a maggio. L’editore insiste per far partecipare Tempo di uccidere alla prima edizione del Premio Strega che Flaiano si aggiudicherà battendo Moravia.

aforismi e frasi di ennio flaiano
Ennio Flaiano

Il romanzo tratta una materia ancora scottante nel 1947, ovvero l’esperienza coloniale in Abissinia. Il protagonista, un ufficiale come lo fu Flaiano stesso, durante un periodo di licenza per curarsi un dente si imbatte in una solitaria e giovane indigena con cui consuma un rapporto sessuale. Passa la notte con lei e, difendendosi dall’attacco di una belva, ferisce accidentalmente la ragazza. Preso dal panico la uccide e ne seppellisce il corpo. Da qui ha inizio lo strano viaggio del protagonista su e giù per l’Abissinia, angosciato dalla paura di veder scoperto il proprio crimine e divorato dai sensi di colpa. Le relazioni con i commilitoni si fanno quindi sempre più sospette e, quando scopre strane piaghe sul proprio corpo, si insinua in lui il timore di aver contratto la lebbra, contagiato dalla ragazza indigena. Fallito il tentativo di tornare in Italia trova rifugio presso un vecchio che scoprirà essere il padre della ragazza. Dopo un lungo periodo di latitanza in preda alla disperazione e alla paura, il protagonista farà ritorno tra i propri compagni dove la vicenda si concluderà nel finale risolutore come il risveglio da un incubo.

A due anni dalla fine della guerra sono molti gli scrittori e i registi che si ritrovano a fare i conti con il recente passato, ma la scelta di Flaiano si distacca dalle tendenze neorealistiche. Il suo stile rimanda piuttosto a Conrad. Viene respinta qualsiasi tentazione di raccontare il vissuto favorendo invece una narrazione “fantastica” come la definisce lo stesso Flaiano. Con il progredire del dramma del protagonista lo stile sembra farsi più mistico e sofferto. E’ un’Africa mitica e pervasa da paure ancestrali  quella che fa da sfondo alle vicende ambigue, simboliche e a tratti surreali in Tempo di uccidere.

A distanziare ulteriormente il romanzo di Flaiano dalla cultura neorealista è l’assenza di qualsiasi rimando al fascismo. Sebbene un personaggio paragoni la lebbra alla dittatura (“si diventa lebbrosi come si diventa tiranni: ereditarietà o contagio”), la vera tematica di Tempo di uccidere è troppo profonda per diventare il pretesto ad una critica al fascismo. Eppure Flaiano, nel diario scritto durante la sua esperienza militare in Abissinia, aveva avuto modo di annotare i comportamenti tutt’altro che eroici dei soldati italiani, che in parte vengono riproposti nel romanzo. Ma evidentemente Tempo di uccidere non vuole essere una delle tante denunce al regime, quanto piuttosto una disamina sulla condizione umana ancora più degradata dopo il conflitto mondiale.

La copertina di Tempo di Uccidere di Ennio Flaiano

Prima si faceva il nome di Conrad. E’ abbastanza spontaneo e inevitabile tirare in causa lo scrittore inglese laddove si parli di Africa o di un qualsiasi contesto coloniale ed esotico. Più in particolare quando questi rappresentano un territorio inesplorato e per questo minaccioso. Ma se Cuore di tenebra è un capolavoro universale è per la capacità con cui riesce a rappresentare la vera natura dell’uomo, l’intima oscurità che lo pervade dall’interno. Oltre all’ambientazione e a certe affinità stilistiche, l’opera di Flaiano instaura senza dubbio un dialogo con il capolavoro conradiano per quanto riguarda l’analisi antropologica e psicologica dell’uomo. Il percorso del protagonista, le cui vicende sono dominate dalla casualità più beffarda, è discendente e la salvezza finale ha tutti i tratti di un’illusione.

Per dirla con le parole di Flaiano, la malattia del protagonista “forse non si tratta più di lebbra, si tratta di un male più sottile e invincibile ancora, quello che ci procuriamo quando l’esperienza ci porta cioè a scoprire quello che noi siamo veramente”. Nel finale del romanzo le piaghe del protagonista sembrano scomparire, scongiurando così la minaccia della lebbra. Ma, come veniamo a sapere per bocca di un medico, la lebbra può manifestarsi anche a distanza di decenni e così il protagonista tornerà in Italia con il dubbio costante. Dall’Africa porterà dentro di sé il germe di una malattia e la consapevolezza di essere intimamente corrotto.


FONTI
P. Mieli, Cuore di tenebra in Abissinia, prefazione a Tempo di uccidere.

 

CREDITS

Copertina by Lo Sbuffo

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