Il fuoco in una stanza: gli Zen Circus fanno faville

Di Maria Chiara Fonda e Valentina Camera

Dopo La terza guerra mondiale, uscito nel 2016, gli Zen Circus pubblicano, il 2 marzo 2018, il loro decimo album: Il fuoco in una stanza. I due singoli che l’hanno preceduto, Catene e Il fuoco in una stanza, che dà il titolo all’album, lasciavano già presagire un lavoro all’altezza dei precedenti. La carriera della band è abbastanza lunga, la fondazione risale al 1994, quando il frontman Andrea Appino aveva solo sedici anni.

Non si può dire che al primo ascolto l’album risulti superiore agli altri lavori della band. Senza dubbio risulta diverso. Le tematiche politiche sono praticamente abbandonate per lasciare spazio a un lavoro più ragionato, maturo e introspettivo. Di sicuro si può apprezzare fin da subito la varietà e la costante malinconia di fondo che permette di trovare un filo conduttore all’album. È il lavoro di una band che è arrivata a una consapevolezza maggiore: la rabbia svanisce e lascia il posto alla disillusione, come si sente in Low Cost:

Ma l’illusione poi disillude
e il mondo di questo è sempre contento

Oltre alla malinconia come elemento ricorrente, altri temi si presentano più volte nel corso dei brani, seguendo varie declinazioni. Primo fra tutti quello dei legami con la famiglia, in particolare con i genitori, citati in un modo o nell’altro in 9 dei 13 brani. Un rapporto da sempre delicato e travagliato, che sembra trovare, nell’età adulta, un suo equilibrio rispetto alle incomprensioni e l’incomunicabilità dell’adolescenza, raccontate ne La stagione. Con la maturità arriva infatti la realizzazione dei tratti in comune e soprattutto una progressiva comprensione dei legami e degli affetti, lasciati spesso inconfessati fino all’ultimo, come accade in Catene.

Quest’album è il ritratto di scene di famiglia, come si vede fin dalla sua copertina realizzata da Ilaria Magliocchetti Lombi. Ci sono storie personali, riflessioni e un grande eclettismo a livello musicale. Si passa da canzoni più pop come la già citata Low Cost o Quello che funziona ad altre più rock come La teoria delle stringhe. Simpatica Sono umano, che contiene un ritornello senza dubbio efficace:

vieni a trovarci all’obitorio
ti abbiamo prenotato un tavolo
il dj set qui è fantastico
salvati da questo mortorio

Altro fil rouge dell’album è lo scorrere del tempo. La vita che si consuma, sfociando ora nella morte, ora nel suo estremo opposto, la smania di godersi l’attimo. Il passaggio all’età adulta porta con sé la perdita dei punti fermi e la sua conseguenza è un profondo senso di disorientamento, di Panico, come recita un altro brano della tracklist. Particolare attenzione merita il penultimo brano, Questa non è una canzone, della durata di quasi 9 minuti. A una prima parte dalle dinamiche in linea con il resto dell’album, segue un crescendo che inizia con una linea di basso a cui vengono progressivamente aggiunti nuovi strumenti e linee vocali che scompaiono come in un soffio di vento, fino a lasciare solo una chitarra e dei brusii di sottofondo. Quella che si potrebbe immaginare come l’ultima canzone dell’album lascia invece spazio al vero finale.

La conclusione è come un pugno allo stomaco. Caro Luca è un pezzo semplice, realizzato con un accompagnamento di pianoforte che lascia l’ascoltatore sorpreso e fa venire voglia di riascoltare l’album da capo. Questo è il consiglio che diamo a chi, come noi sia rimasto un po’ con l’amaro in bocca al primo ascolto: riascoltatelo.

Il fuoco in una stanza è un disco adulto, doloroso, che lascia scoprire la sua bellezza e intensità ascolto dopo ascolto, forse proprio per il lungo lavoro in studio che ci sta dietro.

 


FONTI:

Youtube

CREDITI:

copertina

 

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