WATCHMEN: LA RICOSTRUZIONE DEL SUPEREROE

Prima di Watchmen” e “dopo Watchmen”: così potrebbe riorganizzarsi la storia del comics, e, forse, di tutto il fumetto. Fin dalla sua prima pubblicazione tra il 1986 e 1987 la serie (12 albi) creata da Alan Moore e illustrata da Dave Gibbons ha riscosso un’ovazione unanime tale da essere l’unica graphic novel (romanzo grafico) nella storia ad aver vinto il premio Hugo, oltre all’inserimento nei cento migliori romanzi inglesi dell’ultimo secolo, secondo una lista stilata dal Times.

I meriti da attribuire a Moore per Watchmen sono svariati e molteplici: innanzitutto ha saputo far ricredere gli scettici riguardo il mondo dei supereroi e al contempo ne ha rifondato il canone. Per la prima volta (inediti) supereroi furono caratterizzati con grande realismo nella loro umanità e,  sopratutto, venne condotta un’ approfondita analisi psicologica dei personaggi (nel capitolo cinque si vedrà uno dei Watchmen durante una seduta psicanalitica). Una ventina d’anni dopo la Disney rielaborerà quest’idea per il film Gli Incredibili, in una versione cinematografica certamente più famigliare ed edulcorata, ma che pone comunque le proprie basi in Watchmen, ovvero la vita dietro la maschera.

Nella realtà alternativa creata da Moore i Watchmen si sono tolti il costume da supereroi (non tutti hanno però voluto svelare la propria identità al mondo) e conducono, o almeno ci provano, una vita ordinaria dopo che il decreto Keene ha messo al bando vigilanti mascherati negli Stati Uniti. Schierati al servizio del Governo Nixon, rieletto per il quinto mandato consecutivo, rimangono in attività soltanto il Comico e il Dottor Manhattan, unico supereroe dotato di poteri sovrannaturali, vero ago della bilancia in Vietnam (guerra vinta dagli Americani) e in generale nei delicati rapporti con l’Unione Sovietica. Grazie alla capacità di saper modificare la struttura sub-atomica, solo il Dottor Manhattan potrebbe scongiurare gli effetti di un conflitto nucleare oramai inevitabile tra le due potenze mondiali. Quando il Comico viene misteriosamente ucciso a sangue freddo, il giustiziere mascherato Rorschach, un Watchmen oramai fuorilegge che ha deciso di continuare a cercare la giustizia senza compromessi col governo (alla Batman de Il Cavaliere Oscuro), indaga convito sempre più nell’esistenza di un piano per l’eliminazione degli ormai ex vigilanti in costume.

L’intricatissimo gioco di fabula e intreccio rende il fumetto un vero e proprio “giallo al cardiopalmo” ma è solo una, seppur intrigante, cornice dentro cui poter condurre un’analisi umana dei personaggi e del fumetto inteso come “nona arte” a livello meta-testuale.

Moore mette i suoi personaggi completamente a nudo, mostrando al lettore vizi e virtù di uomini fragili, vittime anche dei problemi più comuni, ma non per questo meno esistenziali, come alcolismo, tabagismo o impotenza sessuale di cui soffrono gli ormai ex “Spettro di Seta” e “Gufo Notturno”.

La celebre frase Who watches the Watchmen? è ripresa dalla satira Giovenale che cita: Quis custodie ipsos custodies (Chi vigila sui vigilanti?)

L’obiettivo del duo Moore-Gibbons non fu dunque quello di creare un comics totalmente ex novo, “sciacquando i panni” nel realismo dostoevskijano sebbene le analogie coi Demoni o i Fratelli Karamazov siano innegabili a un livello approfondito di analisi.

Per la rifondazione del canone fumettistico Moore distribuisce ai suoi supereroi le principali caratteristiche dei più grandi personaggi fumettistici (tanto heroes quanto villains) senza interrompere così l’eredità con il passato. Per esempio dal ricordo degli altri Watchmen presenti al funerale del Comico emerge quanto quest’ultimo fosse in realtà, non meno del Joker in Batman, un cinico nichilista convinto durante la guerra in Vietnam di poter stuprare donne o ammazzare bambini dietro la maschera (è proprio il caso di dirlo) di un forte patriottismo  a mo’ di Capitan America da cui è invece ispirata la sua armatura.

L’assenza di un antagonista assoluto, di un “supercattivo da distruggere”, sottolinea la mancata polarizzazione del bene contro male nei termini più convenzionali. Diventa simbolico lo stato in cui si ritrova la vecchia nemesi dei vigilanti: un pensionato malato di cancro, ormai inerme.

Seguendo le orme del Grande Inquisitore la prospettiva scevra di un “bene assoluto” costringerà il lettore a decidere se schierarsi idealmente tra i Watchmen che ricercheranno la giustizia senza compromessi e menzogne oppure chi preferirà tagliare machiavellicamente il nodo gordiano. D’altronde è proprio uno dei Watchmen ad affermare “Non sono un cattivo da fumetto*

*così nel film diretto da Zack Synder, nella versione originale la citazione corretta è: “non sono un cattivo da serial cinematografico”


FONTI
DC Absolute – Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons – Novara,  agosto 2016 pubblicazione di Lion Comics 

 

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