Il kebab è salvo

Quando, ormai diversi anni fa, il kebab iniziò ad affacciarsi sul mercato gastronomico, molte persone interpretarono il suo arrivo come un pericolo: l’invasore straniero stava tentando di valicare i nostri confini. L’invasione turca procedeva rapida e implacabile, mietendo poveri commercianti a suon di panini.

Nel giro di poco le città si riempirono di aromi che, con il loro profumo accattivante, tentavano di ammaliare gli ignari passanti come novelle sirene metropolitane.

Il kebab divenne presto il pasto preferito da chi necessitava una carica energetica rapida ed economica. Aperti praticamente a tutte le ore e immancabilmente presenti lungo la strada imboccata (che si andasse a casa, al lavoro, allo stadio o ad un locale non aveva importanza: in un modo o nell’altro, tutte le strade portavano al kebab) hanno affiancato il grande must delle serate italiane, il panino con la salamella.

Con il tempo anche i più scettici e i più timorosi si sono abituati alla sua presenza, tanto da trasformare il kebab in uno degli street food più consumati d’Europa.

Ma cos’è di preciso il Kebab? Non lo si sa con certezza. Di accertato abbiamo la sua origine medio orientale, dove appartiene alla cucina tradizionale di diversi paesi, tra cui la Turchia. La variante più nota è il döner kebab, ossia il kebab preparato secondo il metodo di cottura cui tutti siamo abituati, arrostito su uno spiedo che gira lentamente. Le fette di carne vengono lasciate macerare per diversi giorni in un sugo di spezie ed aromi, per poi venire infilzate con un lungo spiedo e arrostite. Lo si può mangiare in un panino o in una piadina di pane azzimo, accompagnato da salse e verdure, componendo gli ingredienti secondo il proprio gusto. Ma fin qui in fondo diciamo l’ovvio.

Il problema sorge quando tentiamo di capire di quale carne si tratti. Perché certo, teoricamente dovrebbe trattarsi di carne di montone o agnello, ma teoria e pratica spesso divergono e in questo caso è stato accertato che il kebab che tutti mangiano è fatto con carte mista, sia come origine che come qualità.

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In aggiunta a questo, qualche mese fa, la Commissione Ambiente del Parlamento europeo ha fatto notare come la difficile etichettatura degli ingredienti, e quindi il controllo dei componenti, renda difficile assicurare una qualità del prodotto che non intacchi la salute del consumatore.
Nello specifico si parlava della possibile presenza dei polifosfati.

Cosa sono? Avete presente quei cibi gonfi e succulenti, dall’aspetto invitante? Ebbene, tale sublime morbidezza e untuosità è data da degli additivi fosfati, i polifosfati appunto, che, trattenendo più acqua all’interno dell’alimento, permettono che questo appaia tenero e grassoccio. Diversi anni fa tali additivi venivano adoperati in numerosi prodotti alimentari, dai formaggi, al tonno in scatola fino ai gamberetti, finché nel 1992 non ne venne imposta la riduzione, a causa dei possibili rischi che tali sostanze avrebbero potuto avere sulla salute.

Pensavate che würstel e formaggini fossero teneri e soffici per loro intrinseca natura? Beh, vi sbagliavate.

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Numerosi studi evidenziano come l’abuso di tali sostanze possa impattare sul rapporto calcio-fosforo dell’organismo o causare problemi renali e ipocalcemia, provocati dall’accumulo eccessivo di fosfati, per questa ragione tornano ciclicamente a divenire oggetto di dibattito. Un vuoto normativo rende però la materia di difficile soluzione. Le norme europee hanno infatti vietato l’aggiunta dei polifosfati nelle carni, ma non nel kebab: tale pietanza non è considerata un piatto di carne, bensì a base di carne. Quando, sul finire del 2017, venne reso noto che il Parlamento Europeo pensava di dibattere per decretare nuovamente in merito alla possibile abolizione, badate, non del kebab, ma dell’utilizzo dei polifosfati nella sua preparazione. Le masse si sono sollevate.

Con le sue 500 tonnellate di kebab ingerite quotidianamente, l’Europa tutta ha fatto sentire la sua voce: NO al bando del kebab. La Germania ha tremato, pensando ai 110mila posti di lavoro garantiti dal settore (ma forse più ai quasi 3 milioni di individui che ogni giorno ingerivano il succulento panino) che a quel punto ha visto nell’approvazione della norma la propria condanna a morte.

Alla fine il tutto si è risolto con un nulla di fatto. Le proteste hanno funzionato e i diritti sacri ed inviolabili del popolo sono stati preservati. Il kebab continuerà a prosperare, gonfio e soddisfatto, e noi un domani potremo raccontare che sì, il giorno in cui è stata vinta la guerra del kebab, noi c’eravamo.

 


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