Belli: quando la poesia in vernacolo spinge oltre i limiti ed è “spinta”.

L’uomo-massa, immerso fino al collo negli sporadici preconcetti fornitigli dalla società, sembra giudicare arte tutto ciò che concerne solo e soltanto gli alti sentimenti, l’idilliaco, l’irraggiungibile. Ma il Belli, poeta fautore di una di una rivolta contro l’ipocrisia del costume, accanito contrastatore di quel dannoso cerimoniale dell’incivilimento, dona al mondo la più alta forma d’espressione dell’arte con la più bassa forma di linguaggio, promuovendo come protagonista delle sue poesie la lussuria del corpo e della carne, il basso, il popolare, il quotidiano. I suoi componimenti, giudicati spesso alla stregua di spicciola letteratura popolare, ci aprono completamente alla visione di un mondo che è distante interminabili spazi da quel che siamo abituati a ritrovarci sotto i sensi leggendo una qualsivoglia poesia, immagine viva che da voce al popolo di roma del XIX secolo. Il Belli ci catapulta violentemente e senza censure nel mondo popolare, nel quotidiano, nella vita viva e vissuta cosi com’è, tramite una magistrale descrizione realistica, un gusto per le onomatopee della parola o delle lunghe sequele di parole, tramite un utilizzo senza precedenti del vernacolo romanesco.

Tutto ciò trova simmetrica concretizzazione nel sonetto “L’incisciature“, composto a casa di una sua amica contessa nel 1831, uno dei poemetti più spinti dell’artista, in cui notiamo che la cadenza romana punti tutto su uno spiccato erotismo. L’arte, di cui molti negano l’esistenza in quest’opera, ci mostra il vero, fotografia della vita a cui non possono essere apposte censure e da cui non ci si può rifugiare in nessun luogo e in nessun dove. Vediamo come il Belli raggiunga qui l’apice dell’Eros, descrivendo con somma maestria un raptus erotico, un violento scontro di corpi e di sensi che da accesso al piacere

“Viè e nun viení, fà e ppijja, ecco e nnun ecco;
e ddajje, e spiggne, e incarca, e strigni e sbatti.”

E’ la vita vera che viene descritta, l’arte del vivere davvero, del sentire, del provare. L’arte stessa sembra essere, qui, in questa composizione, la vita, e la poesia solo un mezzo per dargli una voce.

Poeta dialettale, che scivola elegantemente nel volgare, sembra dipingere una perfetta visione della Roma del suo tempo, facendo dei vizi e dei difetti l’oggetto prediletto dei suoi componimenti. Ma si può quindi definire arte la descrizione di due amanti aggrovigliati in una passionale pulsione amorosa? Siamo costretti a definir non-arte tutto ciò che s’allontana dall’idilliaco e tutto ciò che s’approssima a parlar di sesso e passioni senza freni? Il Belli sembra, attraverso questo e gli altri suoi 2279 sonetti, dirci di no. Ma, come si suol dire, ai posteri l’ardua sentenza.



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