“Chi fa vive”, ma chi bacia non muore mai.

La memoria d’un uomo è nei suoi baci.

Questo il primo verso di Chi fa vive, una poesia di Vicente Aleixandre. Ce lo immaginiamo, un uomo in riva al mare che pensa al suo passato e lo scandisce contando i baci dati, ricevuti, scansati, evitati e desiderati.

Ma non è verità memoria estinta, ammonisce subito il poeta: un bacio deve essere ancora caldo, morbido, per costituire un ricordo da tirare fuori in riva al mare; il suo sapore deve essere ancora chiaro nella bocca di chi lo immagina. Altrimenti non è un ricordo: numerare la vita ai baci dati / non è lieto. Non è questa la strada per lasciarsi alle spalle il passato e, faticosamente, andare avanti. Non ci si può limitare a visualizzare due labbra che si incontrano, per essere felici. Non è lieto contare quante volte la propria bocca abbia sfiorato la pelle altrui; bisogna esserci, bisogna sentirlo, è necessario che faccia ancora un po’ male: bisogna amare per avere qualcosa da ricordare. Anche perché, in caso contrario, ogni bacio sarà sprecato, ogni carezza sarà buttata al vento, inutile. Dare baci senza memoria è più triste. Non sono baci, sono estremi tentativi di sentire qualcosa, l’illusione di una vampata di calore sulla pelle, un brivido lungo la schiena effimero, che si ferma all’altezza delle scapole e si rifiuta di arrivare alla testa e inondarla.

Con quanto è fatto si misura il tempo. È inutile fare i conti con il nostro passato, dice Aleixandre: è necessario sentirlo ancora per scandire il proprio tempo e avere qualcosa da ricordare. È necessario che il passato di ognuno di noi si prenda la libertà di venire a disturbarci ogni volta che lo ritiene necessario, che ci faccia male, che non si arrenda di fronte all’apatia e che ci costringa a provare ancora una volta una stretta allo stomaco.

Fare è vivere ancora, o esser vissuti, / o prossimi. Dopotutto, non importa che sia il passato a essere il protagonista dei nostri ricordi. Va bene anche il presente, purché abbia la forza di imporsi su ognuno di noi e trasformarci in creature deboli pronte a piegarsi di fronte a lui, purché ci regali la memoria; il presente come ricordo da tenere a mente per tutta la vita. L’amore presente come l’unico mai realmente conosciuto, l’unico destinato a segnarci per tutta la vita, l’unico destinato a durare.

Eppure, l’ultima frase sembra ribaltare tutto: un elogio dell’azione, un bisogno di mobilità, di dinamismo portato all’ennesima potenza e che considera ogni spinta esterna come un movimento potenzialmente positivo, persino la morte: Chi muore vive e dura, dice Vicente Aleixandre. E noi ci sentiamo un po’ più deboli, sentiamo di aver perso la forza delle prime parole. Ormai abbiamo imparato e al penultimo verso di questa poesia torniamo indietro; Fare è vivere ancora, e cominciamo ad alzare lo sguardo, a imporgli di non andare giù e non arrivare alla fine. O esser vissuti / o prossimi. E poi scappiamo, andiamo via da una fine scomoda che ribalta ogni nostra certezza e ci rende lettori confusi, spaventati e anche un po’ tristi. Ci allontaniamo velocemente, ci rifugiamo nei primi versi e mentre le nostre pupille li raggiungono il nostro corpo si riscalda un po’, il nostro cuore inizia a battere meno forte, lo sguardo si rasserena, i muscoli si distendono e tutto sembra andare per il meglio. Leggiamo ancora una volta il titolo: siamo al sicuro. A questo punto possiamo cominciare a ricordare: abbiamo due labbra da baciare, un tempo da scandire, un presente da trasformare in splendida, innamorata memoria.

La memoria d’un uomo è nei suoi baci.


 


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