Modest fashion, un business inesplorato

Il mondo islamico conta un miliardo e mezzo di persone, tutti potenziali consumatori esclusi dal sistema fashion occidentale.
Dolce&Gabbana nel 2016 ha lanciato Abaya, una collezione pensata esclusivamente per donne velate, in cui il gusto inconfondibile dei due stilisti italiani mantiene una coerenza, nonostante il progetto sia così lontano dai precedenti. Il velo è, infatti, abbinato a borse colorate, fantasie floreali, oltre che agli inconfondibili limoni, simbolo della Sicilia.


Questo marchio non è certo il primo ad aver pensato qualcosa di simile: da H&M, a DKNY, a Tommy Hilfiger, diverse case di moda hanno proposto collezioni in occasione del ramadan o confezionate per il mondo islamico.
Next 1 Billion Market è il nome di questo fenomeno che vede protagonista un mare inesplorato in cui i guadagni potenziali sono altissimi. Nonostante l’Occidente smerci da tempo nei paesi arabi i propri prodotti, questi paesi li hanno adattati alle loro esigenze, dimostrando di non essere facilmente influenzabili. D’altro canto la cultura massificata, di cui parte fondante è la moda, è sempre stata disposta a piegarsi alle esigenze del più forte e in questo caso la civiltà islamica si è detta tale. La cosa importante, del resto, è vendere, non certo diffondere una cultura.
L’ingresso del modest fashion nelle case di moda nostrane non cambia in modo rilevante la vita delle donne musulmane, dato che il velo lo hanno sempre portato, che fosse griffato o meno. Questo cambiamento piuttosto colpisce la nostra percezione: vedere un velo durante una sfilata lo porta ad essere meno lontano da noi, abituandoci a vederlo nel quotidiano. In Italia queste scelte stanno dividendo chi è contento di veder confondere la linea che divide la moda occidentale da quella araba e chi sostiene che sia sbagliato appoggiare un capo simbolo dell’oppressione della donna.


Questa collezione, di certo, entra nel disegno dei due stilisti siciliani di innovare e rinnovare la società. Come abbiamo visto loro fare negli anni ’80, quando era necessario scuotere una cultura bigotta e per farlo l’arma da utilizzare erano i reggiseni a vista, ora l’obiettivo è abbattere le barriere che ci dividono in “noi” e “loro”.
La collezione D&G di hijab e abaya, copricapo e tuniche che lasciano scoperti solo volto, mani e piedi, ha fatto molto parlare di sé anche nei paesi interessati. Purtroppo non è stata particolarmente apprezzata dalla stampa araba a causa delle modelle inadatte e dal fatto che gli abaya siano, a loro dire, passati di moda. Alcuni hanno addotto polemiche circa il modo di indossare l’hijab, non adatto alle donne del Golfo, che sono solite portarlo in modo meno sofisticato. L’idea nel complesso non è stata affatto bocciata, ma come sostiene anche Alia Khan, presidente dell’Islamic Fashion and Design Concili -organizzazione nata per sviluppare l’industria della moda islamica nel mondo- serve uno studio maggiormente approfondito dei consumatori musulmani. Imprenditorialmente l’area del Golfo è quella più importante perché costituisce la parte più corposa del mercato, quindi è evidentemente il target da soddisfare e quindi da prendere seriamente in esame.


Dire a viso aperto che il primo pensiero va al profitto sembra quasi immorale, perché viviamo circondati da chi millanta sempre grandi propositi, curando in realtà il proprio orticello. Se, però, per le mire di guadagno di qualcuno, anche altri possono guadagnare, si può sottoscrivere un patto vincente. Sono molte le donne musulmane che nel nostro paese, ad esempio, trovano pochi negozi in cui comprare capi d’abbigliamento di loro gusto e finalmente possono vedere soddisfatto questo loro bisogno.

FONTI:

dagospia.com

ilgiornale.it

bergamopost.it

corriere.it

 

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