Esperienze turbolente al “Milano Musica”: l’alba dei rumori viventi

Qualche giorno fa mi sono fatta convincere da amici di Cremona, studenti di musicologia, ad andare ad un concerto di musica d’arte contemporanea, meglio detta come elettroacustica. Non avevo la minima idea di cosa fosse e cose mi aspettasse. Insomma, il massimo di trasgressione a cui mi sono spinta nella vita è Arvo Pärt, ma a quanto pare non era abbastanza. A spaventarmi, poi, è stata la sentenza della mia amica “Oh! sappi che questa è musica spinta” che, detto da lei che è una violinista mingherlina e innocente, ha reso tutto più sinistro.

Siamo scesi nelle viscere dell’auditorium San Fedele per incontrare uno dei compositori, Mauro Lanza. Nella discesa strani rumori e stridii provenivano da sottoterra. Ci siamo, ci accomodiamo e il Lanza aumenta le mie paure: spiega che il pezzo che stavamo per sentire si rifaceva a una interferenza televisiva del 1987, piuttosto inquietante, nota come Interferenza di Max Headroom (se volete potete vedere qui) e che, per di più, per fare alcuni rumori aveva usato elettrodomestici degli anni Ottanta, tra cui un coltello elettrico. Il che non è proprio rassicurante a ridosso di Halloween.

Mauro Lanza

Ma c’è anche altro da dire: Lanza spiega che nel suo approccio antiretorico alla musica lo strumento viene mutilato, il suono lascia spazio alle sue sfumature aspre, avvicinandosi sempre di più al rumore. Il suono perde tutto ciò che è armonia e diventa puro e semplice timbro. Se volessimo fare un paragone letterario sembrerebbe avvicinarsi al discorso che faceva Roland Barthes, quando sosteneva la morte dell’autore. Questo è il fulcro del discorso antiretorico di Lanza: l’intento è quello di rendere invisibile la mano umana del compositore e ignorare le tradizionali regole armoniche, per lasciare completo spazio a ciò che è rumore. Il risultato? Un effetto straniante, bello e non bello.

Inizia il concerto: in programma Sciarrino, Posadas, Lanza, Fure.  L’effetto è immediato: rigetto, questa non è musica! Non c’è un tema, non una coincidenza armonica, non la sicurezza di una cadenza. Il canto stesso del violino è storpiato, non si cerca la polpa del suono ma le sue grinze. Il tutto accompagnato da rumori elettronici, spesso il fruscio di una radio o quelli che sembravano spari.

Ho pensato tutto il tempo che a voler fare gli originali poi si arriva al ridicolo e all’uscita la mia amica mi derideva per la mia faccia e per il tiro giocato. Ma tornata a casa ho rielaborato tutto. La sensazione di straniamento resta ma aumenta anche il fascino per questa sensazione nuova e questo modo di inseguire il rumore. Lascio spazio al gioco, lascio spazio al non sapere cosa diavolo pensare. Perché forse è proprio questo ciò di cui il nuovo ha bisogno: un po’ di libertà, un po’ di respiro.



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