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La compagnia delle anime finte non è un libro per chi cerca una lettura leggera. È cupo e senza speranza, un racconto in cui la voce narrante di Rosa rielabora il proprio vissuto, quello della madre e della sua Napoli degli anni ’50. Ma pochissimo spazio è riservato alla vita. La morte è la grande protagonista della riflessione dell’autrice, Wanda Marasco: muore la madre di Rosa, muore suo padre, muoiono i vicini compagni di scuola e muore il vecchio usuraio che tutti hanno in odio. Rosa stessa muore.
L’apertura del romanzo è sul letto di morte di Vincenzina, la madre di Rosa. Un dialogo si apre, e non a senso unico, fra lo spirito di Vincenzina e la figlia, che parlando, un poco con la madre spirata, un poco con se stessa, diventa narratrice di una storia che ha inizio con Vincenzina ancora bambina, vittima del paesino e delle ristrettezze economiche, del padre adultero e della madre fredda e rigida. Insieme ai fratelli e alle sorelle, sono la famiglia di cui si vergogna e di cui non vuole fare menzione all’innamorato conosciuto a Napoli, lontano dal paesino, membro di un’antica dinastia nobiliare decaduta. La storia si allarga e diventa racconto corale. C’è Rafele, artista negato e dirottato dalla madre oppressiva alla carriera di ragioniere, che Vincenzina, nonostante l’opposizione di quella stessa madre, non se la può proprio negare; c’è Mariomaria, il ragazzino effeminato che decide di vivere la sua vita da donna, ma nella foto sulla lapide figura in vesti maschili, troppo l’imbarazzo che la sua condotta ha creato nei genitori; c’è Iolanda, che ogni notte scappa di nascosto dal ragazzo che ama e per questo viene rinchiusa in manicomio dalla madre; c’è Moira, che, bambina, vive all’ombra della sorellina morta e, adulta, rifiuta tanto i pretendenti quanto l’idea di uscire di casa. C’è Annarella, l’amica che provoca e poi fugge; c’è Emilia che canta spensierata e poi perde l’innocenza nei boschi. C’è Rosa, che racconta questa umanità perduta.
Nella cinquina dei finalisti al Premio Strega di quest’anno, Marasco riesce a coinvolgere il lettore nel flusso della rievocazione tramite una costruzione narrativa impeccabile ed un utilizzo della lingua sapiente, che alterna l’italiano con le inflessioni napoletane. E il dialetto regala alla prosa tratti di grande lirismo, che sfumano fino alla spinosità spiccata che solo le costruzioni del napoletano riescono a creare. La città è un’altra dei protagonisti della storia, e un’altra voce narrante.
Marasco con La compagnia delle anime finte sospende il tempo della quotidianità del lettore e lo trasporta in un mondo altro; con la musicalità della sua prosa, con la verità della sua storia, con i vicoli della sua Napoli.
Neri Pozza
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