Cosa ci racconta Caparezza in «Larsen»?

Sull’enciclopedia Treccani, l’effetto Larsen è definito come un “deficit della funzione sensoriale uditiva di entità tale da costituire motivo di grave menomazione sociale“. Si tratta di un problema che può insorgere in seguito all’ascolto prolungato di musica ad alto volume, e sembra proprio che il rapper Caparezza abbia sofferto per lungo tempo di questo fastidio.

Recentemente salito agli onori della cronaca per la pubblicazione del disco Prisoner 709, Michele Salvemini ha dovuto affrontare un percorso molto difficile e risolvere una serie di problematiche, prima fra tutte, l’acufene, che lo ha tenuto lontano dal palco per circa tre anni. In particolare, all’interno della decima traccia, intitolata LarsenCaparezza descrive con dovizia di particolari i sintomi di questo fastidio e permette all’ascoltatore di avere una chiara percezione di cosa significa soffrire di tale patologia.

Leggendo il testo, è possibile comprendere il percorso accidentato che l’artista ha dovuto compiere: tutto è iniziato nel 2015, ma tutt’ora il problema non sembra essersi risolto completamente (l’ho conosciuto tipo nel 2015 | Visto che ancora ci convivo brindo quindi cin). Cosa si prova a soffrire dell’effetto Larsen, patologia che prende il nome dal fisico Søren Larsen? L’impressione è quella di essere “di ritorno da uno show degli AC/DC“, oppure come “uno squillo ossessivo, come un pugno sul clacson“.

Come spesso capita nelle canzoni di Caparezza, l’amara realtà si confonde con l’ironia. Di conseguenza, “sentivo fischi pure se il locale carico applaudiva, calo d’autostima” e, poco più avanti, “solo chi ce l’ha comprende quello che sento nel senso letterale“. E’ una situazione infernale, dove non sembra esserci via d’uscita: “compresse, flebo doppie, RM, ecodoppler, ecodiete, ecatombe, Larsen indenne, era stalker“.

L’effetto Larsen è qualcosa di davvero terribile per un cantante e per un artista che, inevitabilmente, vive di musica: “il suono del silenzio a me manca, più che a Simon e Garfunkel” (il riferimento è ovviamente alla grande hit Sound of silence, incisa nel 1966 dal duo statunitense nda).

La canzone è bellissima. Da vero artista, Caparezza immerge l’ascoltatore in un universo completamente sconosciuto riuscendo a fargli provare le esatte sensazioni di colui che soffre di questa patologia. Ogni strofa, ricca di sfumature e di interiorità, è interrotta dal ritornello, all’interno del quale è presente il verso di partigiana memoria: “fischia l’orecchio infuria l’acufene, nella testa vuvuzela mica l’ukulele“. Più esplicito di così…


 

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