Il campo di pomodori – parte III

di Andrea Piazza

Si accorse dell’uomo che la stava seguendo solo dopo essere uscita dalla stazione per dirigersi alla fermata della corriera.

Lì per lì non vi diede troppo peso. Continuò per la sua strada voltandosi solamente per controllare le auto agli attraversamenti. Ad un certo punto fu colta di sorpresa nel vederselo di fianco, come se avesse recuperato la distanza che li separava in un sol balzo; un uomo di cinquant’anni, o almeno così le sembrava, alto, magrissimo, con il viso pallido e due occhi scurissimi, che le trasmisero immediatamente un certo timore. Tuttavia non si sentiva a disagio. Per quanto fossero soli, e lei si fosse accorta perfettamente di esser stata seguita, non venne colta dal panico. C’era qualcosa in quello sguardo che la spingeva a non preoccuparsi.

Solo quel lieve timore, di cui non riusciva a liberarsi. Come se si trovasse di fronte alla gabbia di un leone un po’ anziano, al sicuro al di là delle inferriate, eppure ugualmente restia ad avvicinarsi.

Quanto a lui, cercava di non fissarla troppo spudoratamente. L’aveva seguita, sì, ma per puro caso; infatti anche lui cercava la stessa fermata. Non essendo pratico del luogo, aveva deciso di fidarsi; e forse l’avrebbe fatto in ogni caso, ma questo non ci è dato saperlo.

Procedettero quasi affiancati, in silenzio, per qualche minuto – solo il rumore dei loro passi, quelli di lei un po’ più agili di quelli di lui, impediva che si creasse un’atmosfera surreale.

Nella mente di lei, a cui possiamo ora anche dare un nome (Marta, queste sono le cinque lettere che racchiudono la sua persona in un sol battito), nella sua mente, come dicevamo, si rincorrevano diversi pensieri, accavallandosi uno sopra l’altro. Quando arrivarono alla fermata, si fermò senza guardarlo neppure. Avvertì però immediatamente che anche lui si era fermato, a pochi passi da lei. Non osò girarsi. La stazione era deserta, solo qualche passante dall’altro lato dell’ampia strada di cui erano a ridosso.

Fu lui il primo a girarsi. Fece per aprir bocca – e anche di questo lei s’accorse distintamente – ma la richiuse immediatamente.

Non si parlarono né guardarono di nuovo finché comparve la corriera, sbuffando gasolio come una ciminiera. Si fermò ansimante di fronte a loro, sollevando una nuvola di calore dall’asfalto – la giornata rimaneva umida e soffocante.

Lei salì per prima, mostrando qualcosa al conducente. Poi salì lui, e chiese un biglietto, poiché non aveva avuto il tempo di procurarsene uno, preso com’era dalla situazione. Il conducente lo guardò di sbieco, senza negargli la possibilità di salire, ma prendendosi la sua piccola vendetta personale con una scortesia del tutto non necessaria.

Pagato il biglietto, l’uomo cercò un posto dove sedersi. Vide che di fianco alla ragazza c’era un posto libero (cosa che, ripensandoci più tardi, gli suggerì il fatto che lei volesse proprio lasciare vuoto quel sedile); rimase indeciso per qualche secondo, ma quando l’autobus si mise in moto vibrando violentemente si lasciò infine cadere di fianco a lei.

Sedevano così l’uno a fianco all’altro, la ragazza alla sua destra, accanto al finestrino. L’uomo, che era in viaggio da tutto il giorno, si sentiva incredibilmente stanco; da un momento all’altro, pensava, avrebbe potuto cadere nel sonno.

E tuttavia non si fece sconfiggere dalla spossatezza. Rimase sveglio, tenacemente, e a poco a poco passò anche il torpore, così com’era venuto.

Passò diverso tempo prima che qualcuno si decidesse a parlare. L’autobus era stranamente silenzioso.

“Non si dovrebbe seguire una ragazza in questo modo”

La sua voce, più grave di quanto lui si sarebbe aspettato, con una nota roca in fondo alla gola, lo colse di sorpresa. Si girò verso di lei cercando di rispondere. La fissò negli occhi – due occhi grandi, di un verde profondo, che occupavano gran parte del viso. Poteva avere anche meno di trentanni, ora che la guardava meglio; forse l’aveva giudicata in modo frettoloso.

“Non l’ho seguita: dovevo prendere il suo stesso pullman, e non sapendo dove fosse la fermata, ho deciso di farmi guidare” – con il passare delle ore riusciva a esprimersi sempre meglio nel suo linguaggio d’origine, come se, levata la pietra che ne impediva il passaggio, sgorgasse ora spontaneamente da una sorgente nascosta.

Lei sembrò soppesare le sue parole per un istante, alzando gli occhi verso l’alto.

“Ma non poteva sapere che sarei venuta a questa fermata”

L’uomo prese un pacchetto azzurro dalla sua tasca destra, operazione che gli costò qualche fatica, ed estrasse due Citelli bianche che si affrettò ad ingoiare.

“E invece si sbaglia; in treno si è messa a parlare con l’altra ragazza, e ha rivelato più di quanto volesse”

Lei alzò nuovamente gli occhi (sembrava che volesse considerare attentamente ogni frase pronunciata da lui, come per decidere se fidarsi o meno); lui nel frattempo rimise in tasca il pacchetto azzurro.

“D’accordo, le credo; ma in ogni caso non avrebbe dovuto seguirmi. Poteva tranquillamente dirmi dov’era diretto, e le avrei fatto strada. O forse no. Non so se mi sarei fidata di lei”

“Vuol dire che ora si fida di me?”

“Non ho detto questo!” – si girò risentita verso il finestrino, ma un lieve sorriso le increspava ora le labbra.

“Ma ammettiamo che mi fidi di lei, così per gioco; che non la consideri uno strano tizio che mi ha pedinato per strada e ha avuto perfino il coraggio di sedersi di fianco a me in autobus; che non la consideri un individuo un po’ inquietante che ascolta le conversazioni degli altri in treno; e soprattutto, che non la consideri estremamente fastidioso per il modo in cui mi ha fissato durante tutto il viaggio”

A questo punto lui le gettò un’occhiata che racchiudeva preoccupazione e sorpresa. Dunque l’aveva notato! Non che lui fosse stato discreto, questo no.

“Sì, lo ammetto; avrei dovuto rivolgerle la parola, ma..”

“Peggio ancora! Conversazioni inopportune con persone sconosciute, ci mancava solo questo! A quel punto avrei definitivamente cambiato strada per seminarla” – le scappò un sorriso mentre lui corrugava la fronte.

“D’accordo, ma quello che volevo dire è che non avevo intenzione di sembrare inquietante. Lei…beh non importa, forse ero solo curioso, oppure mi bastava trovare qualcuno che conoscesse la fermata”

Lo fissò con uno sguardo tagliente, come a volerlo sondare in profondità, sotto la superficie velata della pelle. Negli occhi le passò un’ombra fugace.

“Non è vero. Mi ha fissata fin dall’inizio” – fece una pausa.

“Ma non importa. Lei non è inquietante come sembra” – ancora silenzio.

Lui non replicò, limitandosi a tastare il pacchetto di Citelli nella tasca, come per farsi forza.

“Comunque mi deve almeno qualcosa. Mi racconti qualcosa di lei, altrimenti avrò tutto il diritto di non rivolgerle più la parola, trattarla come un estraneo qualsiasi e scendere semplicemente alla mia fermata”

“Non sono sicuro di poterle dire molto”

“Ha qualche segreto per caso?”

“N-no, non è quello. Semplicemente vorrei avere qualcosa di interessante da dirle, ma non c’è”

“Non le credo di nuovo”

Lui rimase un momento in silenzio. Fu lei a riprendere la discussione.

“Tanto per cominciare, come mai è qui? Voglio dire, qualcosa nel suo accento mi dice che non è di qui, no? Cosa ci fa su un autobus diretto verso sconosciuti paesini di campagna, per giunta da solo? Mi sembra ci siano molte cose di cui parlare!”

Lui la fissò, forse per la prima volta, senza distogliere lo sguardo (era sempre stato un suo difetto, quello di non saper sostenere gli sguardi a lungo; non per timidezza, forse piuttosto per un senso profondo di vergogna).

“Potrei essere in viaggio così, per vacanza”

“Da solo?”

“Sì, da solo”

Improvvisamente si sentì stanchissimo; muovere le labbra gli costava fatica, e soprattutto non aveva voglia di parlare di sé. Ed era solo, sì, mortalmente solo.

Lei sembrò notare qualcosa. “Mi scusi, non volevo…”

“E’ ok” – ma non aggiunse altro per un po’.

Quando riprese, la sua voce sembrava essersi scurita. “Non sono italiano, ha ragione. Anzi, si sbaglia. Sono italiano ma vivo a Boston”

“Ah! Dev’essere incredibile…da quanto tempo ci vive?”

“Praticamente da sempre. Quando sono arrivato avevo quindici anni. Mi ci ha portato un mio lontano parente”

“E abitava da queste parti?”

“Io?”

“Sì lei”

“Sì, abitavo da queste parti. Con la mia famiglia. E lì che sto andando. Quel mio parente, che poi era un cugino di mia madre, abitava a Milano invece – è venuto con me a Boston ma oggi non so nemmeno che fine abbia fatto”

“Come mai è partito? In cerca di lavoro?”

“Non direi. No, non per lavoro”

“Voleva semplicemente andare via da casa? Oggi è una cosa comunissima, ma mi chiedo se fosse lo stesso anche qualche anno fa…”

L’uomo non rispose immediatamente. Il viso accigliato, ancora pallido, metteva in risalto le occhiaie scure; e la barba, tagliata di recente, faceva già capolino dalla parte inferiore del viso, pronta a testimoniare la trascuratezza della sua nuova vita.

credits

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