Due di Irène Némirovsky: un romanzo senza eroi.

Abbiamo pensato al Bellum civile di Lucano. Deformazione professionale, nostalgia, chiamatela come vi pare. Un volo pindarico, certo. Eccessiva fantasia, assolutamente sì.

Ma comunque, leggendo questo romanzo siamo tornati indietro di un po’ di anni.

Quello che salta subito agli occhi è l’assoluta mancanza di un protagonista.

All’inizio sembra essere Marianne. Marianne dolce, ingenua, vittima di Antoine, un uomo più grande che la rende la sua amante senza amarla e la costringe a vivere una storia claustrofobica, limitante, letale. Una protagonista e un antagonista, così l’autrice imposta la storia.

Se non fosse per il primo, -quasi deprimente-,  colpo di scena: Antoine sposa Marianne e uccide l’aurea di mistero, fascino e irraggiungibilità che lo aveva contraddistinto dall’inizio. Un uomo qualunque, succube del matrimonio. Una vita tranquilla, dei figli, una bella casa e un lavoro. Ma Marianne non lo ama già più, ormai. E, soprattutto, la nostra presunta protagonista viene relegata su una poltrona ad allattare i bambini e lasciata lì per pagine e pagine. Non è lei, dunque.

Eveline, la sorella di Marianne. Una donna bellissima, affascinante, intelligente, appassionata. Antoine si innamora di lei, Eveline ricambia. Bene, ecco il nucleo. L’autrice ci ha fatto entrare piano, non ha voluto accelerare i tempi ma alla fine ce l’ha fatto vedere. Parlerà del loro amore, questo romanzo. All’altezza di pagina centoventitré, ne eravamo sicuri.

E invece, non sono neanche loro i protagonisti. In primis, perché non bastano una decina di pagine per essere il protagonista di un romanzo. Il secondo motivo rimarrà un mistero: non vorremmo rovinarvi il finale. La presunzione che contraddistingue chi scrive ci obbliga a pensare che, letto questo articolo, leggerete anche il romanzo. Un processo automatico, un inevitabile corollario. Non vi sveleremo dove venga relegata Eveline, dunque: vi basti sapere che non si tratta di una poltrona, ma che è abbastanza per non considerarla la nostra protagonista.

Ora vi chiediamo un piccolissimo sforzo mnemonico. Lucano nel Bellum civile racconta la guerra tra Cesare e Pompeo. Se non conoscete l’opera non è un problema: fidatevi di noi, non avete alternative. E noi saremo felici di parlarvene per la prima volta, vedi cui citata presunzione.

Dunque, Lucano imposta la sua opera senza un eroe. Cesare è un uomo sanguinario, crudele, privo della clementia storicamente tramandata: un mostro che gioisce vedendo la testa di Pompeo mozzata. Un antagonista, si potrebbe dire. Si potrebbe, sì, se avessimo un protagonista. Altrimenti il nostro antagonista si ritroverebbe a combattere da solo, senza nessuno, forse contro se stesso. E sarebbe frustrante. Non useremo le ordinarie opposizioni protagonista-antagonista, dunque. Se non in termini generici. Ci torneremo tra un attimo.

Pompeo, un perfetto Zeno Cosini. Perdonateci i continui voli pindarici, ci rendiamo conto di essere disordinati, forse riponiamo troppa fiducia nella vostra cultura letteraria ma ci piace pensare che riusciate a seguirci senza problemi. Se così non dovesse essere, nessuno vi obbliga a leggerci, per fortuna.

Molto bene. Un inetto, un uomo incapace di agire, immobile, passivo. Il contrario di un eroe.

E poi alla fine, ma veramente alla fine, come le dieci pagine di Eveline, Catone. Lui sì un personaggio positivo, ma che ha troppe poche righe a disposizione per guadagnare la medaglia d’oro di protagonista. Oltre al fatto che la sua fine è esattamente identica a quella della nostra non-protagonista, Eveline. Con questo vi abbiamo parzialmente svelato il finale, sì. La verità è che era una tentazione troppo grande avvalorare la nostra tesi mostrando come questi due personaggi siano uguali dall’inizio alla fine, e che quindi l’associazione al Bellum civile non sia stato il pensiero di un lettore ancora una volta poco attento e troppo fantasioso. Se solo Eveline avesse avuto una spada…

Comunque, iniziamo a trarre qualche conclusione. Cesare sta ad Antoine come Pompeo sta a Marianne come Catone sta ad Eveline. Una proporzione equa.

Antoine, l’uomo insensibile che fa soffrire Marianne, che decide di sposarla e poi la tradisce. Che prova uno strano e inquietante godimento nel farla soffrire, è il Cesare lucaneo che guarda la testa di Pompeo mozzata e se ne compiace.

Marianne su una poltrona ad allattare i figli, Marianne che scopre del tradimento del marito e non dice nulla per non turbare l’ordine familiare, Marianne che rimpiange un passato che non è più in grado di rivivere, è Pompeo, pavido e timoroso di fronte all’orrore della guerra.

Ed Eveline, bella, intelligente, coraggiosa, appassionata, che tenta in tutti i modi di essere felice e di legare a sé Antoine, di vivere il loro amore in maniera sana, giusta, corretta, è Catone, qui vocem liberam mittat et rem publicam hortetur ne pro libertate decidat, sed omnia experiatur. (Seneca, Epistulae morales ad Lucilium). Catone che di fronte all’impossibilità di difendere i propri valori, dopo avercela messa tutta, si uccide. Se solo Eveline avesse avuto una spada…

Sia chiaro: parliamo di suggestioni, non di poligenesi. Né di reminiscenze, modelli, libri letti: Irène Némirovsky, per quello che ci riguarda, potrebbe ignorare chi sia Lucano, che cosa abbia fatto Cesare e come Catone abbia deciso di uscire di scena -anzi, sicuramente lo ignora: in caso contrario, Eveline avrebbe certamente avuto una spada-.

La verità è che un’opera, quando esce dalle mani di chi scrive, guadagna un po’ di libertà e diventa, in piccole dosi, anche del lettore. E noi, da lettori, l’abbiamo usata a nostro piacimento.

Due storie prive di un protagonista umano, reale, materiale, vivo, concreto. E su questo non ci sono dubbi. Ma, a ben guardare, un protagonista a cui opporre gli antagonisti -che a questo punto sono diventati tutti i nostri personaggi, in un minestrone che va da Catone ad Antoine-, esiste.

Per Lucano, l’orrore della guerra. La mancanza di libertas, una città che ha perso il suo antico valore e che è diventata schiava del più forte.

Per Irène Némirovsky, l’inesistenza dell’amore. Sistematica, totale. Tutte le storie del romanzo -ne abbiamo accennate solo alcune-, finiscono nella disillusione, nel dolore, nel tradimento, o ,peggio, nell’apatia, nel disinteresse. In un inquietante distacco.

In entrambe le opere vige il pessimismo. Un pessimismo neanche più disperato ormai, ma consapevole e rassegnato. E se questo pessimismo ci ha reso vicini al Bellum civile di Lucano, se ci siamo sentiti solidali a Catone, lo stesso pessimismo, nell’opera di Irène Némirovsky, è stato un neo che ci ha tenuto alla larga. Questo perché, nonostante le vagonate di cinismo che popolano l’anima di chi sta scrivendo questo articolo, rimane un barlume di speranza che non può e non deve essere minato. E se la guerra, la privazione della libertà, possono portare alla disillusione, l’amore no.

Eveline, Antoine, Marianne e tanti altri personaggi schierati, armati contro la felicità, contro la possibilità che due persone si possano amare in maniera disinteressata, serena, felice. Abbiamo sperato fino alla fine in un trionfo dell’amore, in un Amor vincit omnia, non è stato così. E siamo rimasti delusi. Perché questo non è il nostro punto di vista, non la nostra visione.

Cesare, Pompeo contro la libertas. Qui, invece, Lucano ci ha dalla sua parte.

Forse non è di punti di vista che si tratta. A ben guardare, un romanzo ben scritto può fare del lettore ciò che vuole. Può portarlo sul lastrico, fargli raggiungere il punto più basso e squallido dell’immoralità, o regalargli un istante di felicità. No, non c’entrano i punti di vista. Forse, la verità è che Lucano è stato abile: ci ha convinti della sua tesi, ha fatto schierare anche noi dalla parte della libertas rendendo Cesare un sanguinario, Pompeo uno Zeno Cosini. Irène Némirovsky, invece, non ci è riuscita. Ci ha provato e abbiamo veramente apprezzato lo sforzo, ma ci è mancato qualcosa. E nel momento di schierarci dalla sua parte, abbiamo preferito Eveline. Non si può creare un protagonista solo per distruggerlo.  Catone è stato dall’inizio solidale con il suo ideale, con il suo protagonista. Mentre l’autrice di Due si è schierata in prima linea con l’esercito del suoi personaggi, con tanto di spada ed elmo, pronta a ucciderlo. E noi, di conseguenza, ci siamo messi dalla parte opposta: quella della libertas , quella dell’amore.

Le donne, i cavvalier, l’arme, gli amori. Volevamo chiudere con una piccolissima aggiunta al nostro minestrone. Un pizzico di sale. Dopotutto, visti gli argomenti, con un po’ di fantasia potrebbe calzare a pennello.

 

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