Per i diritti delle donne e contro la deriva sessista di Trump: Women’s March

di Chiara Ciotti

Da Chicago a Boston, da New York a Miami, passando per Denver e Seattle e arrivando anche in Europa, da Londra ad Amsterdam, fino ai 500mila presenti a Washington: “Women’s March” si è trasformata in una manifestazione globale, paragonabile alle proteste contro la guerra in Vietnam degli anni Sessanta e Settanta.

Il 21 gennaio, a 24 ore dall’insediamento del nuovo presidente, donne, uomini, bambini di ogni razza e provenienza, dagli ispanici agli afroamericani, dai cristiani ai musulmani, hanno protestato pacificamente in favore dei diritti delle donne e contro ogni discriminazione di genere, scagliandosi contro Donald Trump «to send a bold message to our new administration in their first day in office, and to the world that women’s rights are human rights».

L’iniziativa è nata dall’idea di Teresa Shook, una donna delle Hawaii, che su Facebook ha creato un evento invitando i suoi amici ad occupare le strade di Washington in segno di protesta. Innanzitutto, è stata una manifestazione contro il sessista, razzista e anti-gay Donald Trump, che continua a promuovere il suo slogan, autentica espressione del suo populismo, “Make America great again“, promettendo la costruzione del muro al confine con il Messico, l’adozione di nuove misure di sicurezza per tenere lontano il radicalismo islamico dagli Stati Uniti, bloccando (uno dei suoi primi ordini esecutivi firmati) i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o informano sull’interruzione di gravidanza all’estero. Sono tutte idee già espresse in campagna elettorale e condite in un mix di protezionismo e autoritarismo, con l’aggiunta di un attacco sistematico ai mezzi di informazione che «dovrebbero tenere la bocca chiusa», secondo Trump.

“Obama cares, Trump scares”: uno dei cartelli esposti durante la protesta sottolinea il sentimento comune nei confronti della nuova amministrazione, paura e diffidenza. Saranno quattro anni dettati dall’incoscienza e dalle fantasie autoritarie di The Donald? E’ la domanda che ossessiona l’America oggi, è la domanda che ci accompagnerà per questi lunghi quattro anni:”History has its eyes on you”, recita un altro cartello.

Ma non solo contro il nuovo presidente, i cittadini americani, sfilando tra le strade delle principali città, hanno riaffermato la necessità di avere dei diritti, hanno camminato invocando l’urgenza di un’uguaglianza sociale, il desiderio di giustizia al di là delle appartenenze religiose e delle razze, il bisogno di essere tutelati in qualità di lavoratori e di cittadini con la riforma della sanità, della protezione dell’ambiente naturale e dell’immigrazione, ma soprattutto hanno gridato al mondo l’impellenza di rispettare i diritti delle donne.

Un ragazzo tiene nella mano sinistra un cartello “Real men are feminists”; un signore indossa un telo con scritto “Never stop believing that fighting for what’s right is worth it”; “To all the little girls watching right now: never doubt that you are valuable and powerful and deserving of every chance in the world”: una ragazza infonde speranza con questo messaggio, tratto da un discorso di Hillary Clinton. Manifesti, cartelli, striscioni, messaggi e colori diventano tutti simboli di questa ondata di contestazione che ha acceso l’intera America perché “a woman’s place is in the resistance”. Urlato a gran voce anche “Take your broken heart, make it into art”, in ricordo di Carrie Fisher, e preso come motto dal Women’s March.

Questa manifestazione ha assunto un valore storico incredibilmente significativo a livello globale: ha risvegliato le coscienze, ha ricordato che la libertà è un diritto che deve essere sempre difeso e conquistato, ma soprattutto mai dato per scontato, ha unito le divisioni, ha indicato un’unica direzione di crescita sociale, ha cancellato le diffidenze che nutriamo gli uni verso gli altri. Ma, se da un lato ha rappresentato la prova che non siamo completamente assuefatti agli eventi e arresi alle circostanze, ma in grado di risvegliare il germe della rivoluzione e resistenza che è in noi, dall’altro lato ha imposto una riflessione profonda sullo stato di decadenza dei nostri diritti. Ogni giorno vengono violati i diritti inderogabili dell’uomo e del cittadino: dalle violenze domestiche a quelle sul lavoro, dalle torture ai continui tentativi dei governi di zittire le opposizioni, la stampa e i media in generale, di sopprimere la libertà di manifestazione del proprio pensiero (la Turchia ne è l’esempio lampante), dal razzismo fino ai casi estremi, le guerre. Allora la riflessione più urgente che Women’s March ha imposto è quella di chiederci se ci sentiamo tutelati, se lottiamo gli uni per gli altri e non ci barrichiamo nei nostri confini privati, ma soprattutto se sia possibile, ancora nel 2017 , che la conquista dei diritti sia un’utopia.

Fonti: Il Post, Huffington Post, La Repubblica.

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